Il mio Nicaragua in preda al panico

Il mio Nicaragua in preda al panico

La testimonianza dell’avvocatessa Molina Montenegro, che ha documentato gli attacchi sistematici alla Chiesa sotto il governo della coppia presidenziale Ortega-Murillo. «Nel paese vige uno stato di terrore e illegalità generalizzata»

«Pánico y miedo», «Panico e paura». Con queste parole l’avvocatessa nicaraguense Martha Patricia Molina Montenegro delinea lo stato d’animo attuale dei suoi connazionali: «Le uniche vie di fuga concesse dalla dittatura sono il cimitero, l’esilio e il carcere – dichiara -. La gente ha paura perché è consapevole che sono capaci di tutto». Dal 2007 il Paese è governato dalla coppia presidenziale formata dal presidente Daniel Ortega e dalla moglie Rosario Murillo, che negli anni ha attuato una repressione sempre più feroce, specie dopo le proteste di massa cominciate il 18 aprile 2018. I nicaraguensi erano scesi in strada per protestare contro una riforma del sistema previdenziale poi revocata e hanno pagato con il sangue. Fin dai primi momenti la Chiesa cattolica è stata a fianco di chi subiva violenza e per questo è finita sempre più nel mirino del sandinismo, l’ideologia di tendenza socialista e nazionalista basata sul pensiero di Augusto César Sandino, nata all’inizio degli anni Sessanta. Con il suo studio “Nicaragua: ¿Una iglesia perseguida?”, Molina ha documentato gli attacchi sistematici a questa istituzione. Ne ha pubblicato il quinto aggiornamento, classificando le aggressioni in sette categorie: attacchi e restrizioni agli edifici religiosi; chiusure arbitrarie di organizzazioni, università, mezzi di comunicazione e progetti sociali; repressioni religiose; scritte sui muri e messaggi d’odio; profanazioni; aggressioni, minacce, arresti e limitazioni alla libertà di culto dei laici; confische di beni.

Quanti attacchi ha subito la Chiesa cattolica nicaraguense e perché è un bersaglio della dittatura?

«L’ultimo aggiornamento del mio studio registra 870 attacchi commessi dalla dittatura sandinista Ortega-Murillo da aprile 2018 a luglio 2024, ma la cifra varia continuamente perché ogni giorno si compiono nuovi atti violenti contro questa istituzione. Ciò si verifica perché, dall’aprile di sei anni fa, sacerdoti e vescovi hanno aperto le loro porte quando la polizia sandinista e l’esercito del Nicaragua stavano attaccando e assassinando persone innocenti. Era una lotta impari perché chi protestava (studenti in prevalenza, a cui si aggiunsero famigliari e gli altri settori della società), non aveva armi. Non avevano nulla con cui potersi difendere se non il telefono per filmare ciò che stava succedendo, mentre l’esercito utilizzava tutto il suo arsenale da guerra contro i cittadini. Non era uno scontro frontale, era l’assassinio di un popolo. La Chiesa cattolica ha invocato il cessate il fuoco e un negoziato tra le parti e questo ha offeso molto la dittatura, che ha avviato attacchi frontali contro i religiosi».

Quanti sono gli esponenti del clero che hanno dovuto abbandonare il Paese?

«Più di 250 religiosi sono dovuti fuggire perché minacciati di morte, o sono stati espulsi o ancora non riescono più a rientrare nei confini nazionali nonostante siano nicaraguensi. Il governo ha imposto il silenzio alla Conferenza episcopale e a tutto il clero ma le aggressioni continuano quotidianamente e con più forza. La dittatura sta inoltre soffocando economicamente la Chiesa con tasse che non erano previste dalla legge e che le sono state imposte attraverso riforme illegali».

Nel suo studio riporta che 22 mezzi di comunicazione religiosi tra radio, tv, stampa e web sono stati chiusi arbitrariamente. Come mai questo accanimento?

«L’intento è recidere il progetto di evangelizzazione della Chiesa cattolica: nel Paese lo Stato non ha una presenza capillare e non raggiunge tutte le comunità, la Chiesa sì: i media religiosi hanno connesso tutte quelle persone che non avevano facilmente accesso alla vita cittadina e lo hanno fatto ad esempio trasmettendo momenti di preghiera e le celebrazioni delle Messe».

La questione religiosa si intreccia con il tema dell’istruzione?

«Delle 1.500 organizzazioni senza fini di lucro cancellate recentemente, almeno venti sono realtà di carattere religioso che avevano o che possiedono scuole e centri di educazione. Il sandinismo confisca questi luoghi, così come le università, per mantenere l’indottrinamento nelle aule: è consapevole che in un certo modo, attraverso la religione, la Chiesa cattolica apre la mente all’essere umano e trasmette valori importanti. Ciò che il regime vuole è che le figure di Ortega e Murillo siano impresse nella mente dei giovani come quelle di “salvatori”, in grado di risolvere qualsiasi problema».

Qual è lo stato del sistema giudiziario nicaraguense?

«Si vive una condizione di illegalità generalizzata. Vengono imputati reati che non sono mai stati commessi o che non dovrebbero essere considerati tali. Un esempio è quanto successo a un contadino analfabeta, accusato di diffondere notizie false quando non sa nemmeno leggere e scrivere, non è iscritto a nessun social network e non possiede neanche un cellulare. Nelle carceri nicaraguensi si praticano più di 40 metodi di tortura e i detenuti, che siano sacerdoti o meno, sono sottoposti a un trattamento crudele, inumano e degradante: subiscono violenze, non viene dato loro da mangiare e non hanno accesso al sole».

E i social media che ruolo hanno?

«Nel Paese c’è un controllo totale delle reti sociali. Esiste una legge, la “Ley de Ciberdelitos”, attraverso cui la dittatura può imprigionarti su base discrezionale: se per esempio una persona pubblica una bandiera azzurra e bianca e scrive “Viva Nicaragua”, questo può essere identificato come reato. Le persone ora hanno paura anche di prendere parte ai gruppi WhatsApp: il timore è aumentato con la nuova riforma della legge, entrata in vigore a settembre».

In che modo si sostiene un Paese come il Nicaragua?

«Grazie alle rimesse provenienti principalmente da Stati Uniti, Costa Rica e Spagna, ma anche attraverso il narcotraffico e i prestiti che le istituzioni finanziarie concedono allo Stato, utilizzati per la repressione e non per i progetti sociali. La comunità internazionale ha giocato un ruolo importante contribuendo alla liberazione di una gran quantità di prigionieri politici, ma dall’altro lato credo che abbia sbagliato perché continua a fornire prestiti alla dittatura. Per ripagare questi prestiti, lo Stato attinge dalle tasche dei nicaraguensi: è come se stessero pagando per essere torturati. Credo che la comunità internazionale debba adottare misure più drastiche anche nei confronti di esercito e polizia: gli apparati che tramite omicidi, assedi e persecuzioni sostengono la dittatura al potere».

Lei oggi vive in esilio all’estero. Ha la speranza di tornare in patria?

«Sì, e per questo ogni giorno alzo la voce e espongo i danni che il regime Ortega-Murillo sta arrecando al mio Paese. Credo che nessuna dittatura possa durare per sempre: prima o poi si dovrà instaurare di nuovo la democrazia. Sogno di vivere libera in patria e desidero sicurezza giuridica e protezione per tutti i miei connazionali. La nostra gente è meravigliosa e ama la libertà. Il piccolo gruppo che sta facendo questi danni non ci rappresenta: io credo che l’anima nicaraguense sia ancora viva e ci sia la voglia di fare del bene. Questa situazione, in un Paese dove uscire in strada e recitare il rosario rappresentano reati, ci ha unito come comunità: la gente continua ad andare in parrocchia, anche se con apprensione perché c’è vigilanza permanente. Inoltre si formano più gruppi di preghiera. Ci si riunisce in case diverse per non rischiare di essere arrestati o venire minacciati di morte dai paramilitari. Le persone non mollano, anche perché l’unica arma rimasta è rivolgersi a Dio».