Missionari nel tempo del post-umano

Missionari nel tempo del post-umano

L’incontro di formazione continua dei missionari del Pime che operano in Asia è stato un’occasione per riflettere su questioni attuali e urgenti, come l’intelligenza artificiale, il post-umanesimo e le implicazioni etiche e pastorali per l’annuncio del Vangelo. Una sfida per il presente e il futuro

Dal 18 al 23 novembre 2024, 40 missionari del Pime provenienti da vari Paesi asiatici si sono incontrati a Hyderabad, in India, ospiti delle suore catechiste di Sant’Anna (fondate da padre Silvio Pasquali, del Pime), per un corso di formazione continua. Il tema “Le sfide della missione nel tempo del post-umano”, ha aperto un orizzonte di riflessione su questioni attuali e urgenti, come l’intelligenza artificiale (IA), il trans-umanesimo, il post-umanesimo e le implicazioni etiche e pastorali per l’annuncio del Vangelo. Il corso ha perseguito un duplice obiettivo: favorire la fraternità tra i missionari, attraverso la condivisione delle loro esperienze, e approfondire i grandi temi che già stanno influenzando il loro lavoro nei diversi contesti.

Le prospettive del corso

Tre relatori hanno guidato il percorso formativo: Arockia Selvakumar e Arokya Raj Mariasusai, salesiani indiani molto coinvolti nello studio e in progetti di applicazione dell’intelligenza artificiale, ed Ermenegildo Conti, filosofo e presbitero della diocesi di Milano. Ci hanno mostrato in modo sistematico in cosa consista l’Intelligenza artificiale, il tran-umanesimo e il post-umanesimo.  Le loro prospettive complementari hanno arricchito la discussione.

Don Selvakumar ha presentato l’IA e le nuove tecnologie come un’opportunità missionaria. Un possibile “nuovo areopago” per l’annuncio del Vangelo, parafrasando le parole di Giovanni Palo II, un luogo da abitare con discernimento. Ha sottolineato l’importanza di essere presenti in questo ambiente digitale, valorizzandone le potenzialità, ma con consapevolezza e senza ingenuità, per evitare i rischi che queste stesse tecnologie possono comportare.

Don Arockia Raj ha analizzato l’impatto etico e politico del post-umano, Queste tecnologie, pur utili, rischino di aumentare le disuguaglianze, compromettere la giustizia sociale e essere gestite da politici spregiudicati. Il post-umano è in un certo senso è già iniziato, come mostra la vicenda di Sophia, il primo robot umanoide al mondo con applicazioni di intelligenza artificiale, costruito a Hong Kong e che ha ricevuto la cittadinanza dall’Arabia Saudita e ha visitato diversi Paesi, inclusa nel 2018 l’Italia.

Don Conti, infine, ha offerto un’analisi filosofica, mettendo in guardia contro un futuro in cui il corpo umano potrebbe essere reso superfluo, negando l’antropologia cristiana radicata nei misteri dell’incarnazione e della risurrezione dei corpi.

Quattro punti per il discernimento missionario

Alla fine del corso, padre Gianni Criveller, coordinatore della commissione per la formazione continua, ha proposto alcune riflessioni. È seguita una condivisione comune. Riassumo attorno a quattro temi alcune delle cose emerse, che toccano non solo l’impatto della tecnologia nella nostra attività missionaria, ma anche la necessità di ripensare il modo di annunciare il Vangelo in un mondo trasformato dal post-umano.

Scienza e sopravvivenza: mentre l’IA promette avanzamenti straordinari, molte persone lottano ancora per la sopravvivenza, per la giustizia e la libertà. La tecnologia, specialmente quando utilizzata in ambito militare, rischia di amplificare le disuguaglianze e di intensificare le crisi umanitarie. La missione deve essere voce profetica che denuncia questi rischi, si impegna per la giustizia e difende i diritti degli ultimi.

Teologia del corpo: il mistero dell’incarnazione ci ricorda che il corpo umano è luogo di Dio e che la nostra fede si fonda sulla realtà del Figlio di Dio incarnato e risorto. L’innovazione tecnologica che riduca il corpo a un supporto secondario o ne alteri profondamente il significato antropologico va affrontata con discernimento critico. Ogni persona è unità di corpo e spirito, insostituibile e irripetibile, e che il Vangelo annuncia la risurrezione della persona, che non esiste senza un corpo.

Pensiero critico e apertura: i social media usano l’IA per creare “echo chambers” che isolano le persone in bolle di pensiero, alimentando divisioni e polarizzazioni. Come missionari, siamo chiamati a promuovere una formazione che sviluppi il pensiero critico, capace di discernere il vero dal falso, e a educare al confronto con prospettive diverse. Questa educazione deve aiutare a costruire ponti e favorire una comprensione reciproca che superi le barriere culturali e ideologiche. Le bolle non creano solo le fake news, ma anche le no news: ovvero informazioni che non arrivano mai, perché rinchiusi nella nostra bolla.

Relazioni autentiche e radici interiori: la missione non può ridursi a interazioni virtuali. Il Vangelo si trasmette attraverso incontri reali e legami autentici, in carne e ossa, che permettono di ascoltare le storie delle persone, camminare con loro e offrire segni concreti di speranza e amore. Noi missionari, figli del nostro tempo, viviamo dentro molte culture, e molte culture vivono dentro di noi; apparteniamo a linguaggi diversi e ciò comporta il rischio di perdere il proprio centro interiore. Una volta in missione, l’uso spasmodico dei social media può farci rimanere ancorati ai nostri punti di partenza, impedendoci di entrare davvero nella nuova realtà, e dunque di sentirci estranei e alla lunga di rinunciare alla nostra missione. Ma noi, essere umani e missionari, siamo essenzialmente relazioni. La felicità di un missionario sono i legami di amicizia, autentici e profondi, che si creano con le persone attorno a noi. Questo è non solo un dono prezioso, ma anche la via per l’annuncio del Vangelo.

Intercessione e presenza: l’esperienza del Myanmar

I nostri confratelli dal Myanmar, dove dittatura e guerra stanno devastando milioni di vite, hanno condiviso il significato profondo della loro missione come intercessione e presenza. Come Giairo nel Vangelo, che si getta ai piedi di Gesù implorandolo per la vita della figlia (Lc 8,40-41), anche loro sentono spesso nascere dal cuore la stessa preghiera: «Signore, abbi pietà, il tuo popolo sta morendo!».

Nonostante le difficoltà e la possibilità di lasciare il Paese, i nostri confratelli hanno scelto di rimanere accanto alla gente, condividendone le sofferenze e ascoltandone le storie. Come Gesù con la donna emorroissa, che si ferma per accogliere la sua esperienza di dolore e donarle guarigione, anche loro cercano di mettersi in ascolto profondo delle persone. Dalla loro testimonianza è emerso che la loro presenza va oltre l’aiuto materiale: si sforzano di creare un ambiente di fede in cui le persone possano «toccare il mantello di Gesù» e trovare consolazione, cura e speranza nel Signore. Questo impegno a essere vicini alla gente, anche nei momenti più difficili, dimostra come la missione, in contesti di estrema sofferenza, diventi un atto di vicinanza capace di trasformare il dolore in un’occasione di incontro con il Signore.

Annunciare il Vangelo è stare dalla parte della gente

Il corso di Hyderabad ha mostrato che, nel tempo del post-umano, la missione non può limitarsi a utilizzare le tecnologie per l’evangelizzazione, ma richiede di ripensare profondamente il modo stesso di annunciare il Vangelo. L’IA si trasforma in un fine e modifica ciò che significa essere umani. I missionari del Pime in Asia credono nella priorità dell’incontro con le persone, nell’ascolto attento delle loro storie. Annunciare il Vangelo è stare dalla parte della gente, dalla parte di chi soffre. La gioia di essere missionari viene dalla verità, in carne e ossa, delle relazioni.