Noi missionari siamo ancora chiamati ad andare ai crocicchi delle strade, delle culture e delle miserie umane anche in Paesi che sono ormai a maggioranza cattolici. Prima puntata della Rubrica “Pasasalamat-Grazie”
Che cosa ci fanno 16 missionari del Pime in un Paese come le Filippine, dove il 78,81% della popolazione è cattolica? È una domanda che ci poniamo sempre anche noi in tutte le nostre assemblee annuali. Ha ancora senso la nostra presenza oggi in questa nazione? Altri Istituti missionari, infatti, hanno già lasciato il Paese sia per la diminuzione delle loro vocazioni, ma anche per una serie di riflessioni sulla loro presenza, ritenuta non più prioritaria rispetto ad altre più necessarie e urgenti in contesti asiatici limitrofi. E così, questa domanda continua a provocarci e a stimolarci.
Innanzitutto, tra gli 86 milioni di cattolici filippini, solo il 13% circa frequenta la chiesa ogni domenica. Questo mi fa pensare al Vangelo dei dieci lebbrosi guariti da Gesù, mentre andavano dai sacerdoti: solo uno di loro, per di più samaritano, eretico, è tornato indietro a ringraziare il Signore, a fare cioè Eucaristia-ringraziamento (in lingua tagalog, Pasasalamat, che dà il titolo anche a questa rubrica che ci accompagna per tutto l’anno in concomitanza con la campagna “Filippine25. Un ponte per ogni isola”). Solo a lui Gesù dice che la sua fede lo ha salvato. Tutti sono stati guariti, ma uno solo è salvato. Molti cattolici nelle Filippine non sanno ancora riconoscere le “guarigioni” e le “grazie” che ricevono ogni giorno dal Signore e quindi non sentono il bisogno di ringraziarlo ogni domenica. Non godono ancora della sua quotidiana e viva presenza d’amore provvidente nei loro cuori, nell’Eucaristia, e questa è la salvezza che ancora manca a tanti cattolici filippini. Noi missionari, nel nostro lavoro pastorale in parrocchie spesso povere, siamo chiamati a portarli a questa “salvezza” e non solo a essere strumento di “guarigioni” e “grazie”, più o meno materiali, nella loro vita.
La presenza missionaria nelle Filippine, inoltre, è ancora molto utile anche per aiutare la Chiesa locale a essere più aperta e attenta alle minoranze tribali, ai poveri delle zone rurali, ai baraccati delle grandi città, alle altre denominazioni cristiane e alle altre religioni, in particolare l’islam. In questo senso, abbiamo ancora da “insegnare” la cattolicità, l’apertura, il rispetto, il servizio e la valorizzazione del diverso, inteso come risorsa e non come un ostacolo.
Alla tavola imbandita delle nozze del figlio del re devono entrare proprio tutti, e noi missionari siamo chiamati ad andare ai crocicchi delle strade, delle culture, delle miserie umane per invitare proprio tutti al banchetto. Ma per farlo, dobbiamo mostrare chiaramente e con passione questi nostri carismi insiti nella nostra vocazione e non rischiare di spegnerci e di essere senza “fuoco dentro”.