Un gruppo di attivisti ha denunciato l’ex presidente bianco De Klerk per crimini contro l’umanità: un processo è improbabile, ma le agitazioni nel Paese hanno riaperto anche la questione della riconciliazione
Premio Nobel. Ex presidente. E di nuovo sotto accusa. Frederik Willem De Klerk, l’ultimo capo di stato del Sudafrica bianco, che cominciò a smantellare il regime dell’apartheid e divenne poi uno dei vice di Nelson Mandela, è finito nel mirino di un gruppo di attivisti neri. La richiesta è che sia processato per crimini contro l’umanità con uno dei suoi vecchi ministri, Adriaan Vlok.
Difficile che dal commissariato di Johannesburg, dove sono state depositate, le accuse arrivino alla Corte penale internazionale dell’Aja, come vorrebbe Andile Mngxitama, ex deputato della formazione di sinistra Economic Freedom Fighters e oggi leader del poco noto Anti-Racism Action Forum. “È una mossa politica, fatta anche per cercare visibilità”, spiega padre Anthony Egan, teologo e politologo del Jesuit Institute di Johannesburg. Ma oltre a far rinascere le polemiche su De Klerk (contestato già ai tempi del Nobel condiviso con Mandela), le accuse rimettono al centro del dibattito due temi tornati d’estrema attualità negli scorsi mesi.
Nelle proteste che hanno attraversato di recente il Paese, in effetti, la questione dei rapporti tra bianchi e neri e dell’atteggiamento da tenere nei confronti del passato razzista sono state centrali. Due esempi su tutti: la mobilitazione nata per chiedere la rimozione di una storica statua del colonialista britannico Cecil Rhodes da un ateneo di Città del Capo (poi trasformatasi in una serie di dimostrazioni nazionali) e la battaglia degli universitari contro l’innalzamento delle tasse d’iscrizione, che avrebbe penalizzato soprattutto gli studenti neri più poveri. “In un certo senso la questione razziale non è mai scomparsa – conferma Anthony Egan – semmai è finita ‘fuori dal raggio dei radar’ per poi riesplodere vent’anni dopo”.
Nelle ultime vicende c’è più che la semplice consapevolezza delle disuguaglianze economiche ancora pesanti – e spesso sottolineate – tra le diverse componenti della società sudafricana. In gioco, infatti, torna anche la portata della pacificazione raggiunta grazie alla Commissione per la verità e la riconciliazione, che fu istituita durante la presidenza di Mandela e che garantì l’amnistia a molti dei colpevoli pentiti. “Credo che abbiamo ottenuto molte verità, ma molta meno riconciliazione. – ragiona Egan – Allora si pensava a costruire lo stato e a far convivere tutti, perché eravamo stati sull’orlo di una guerra civile; abbiamo cercato soluzioni rapide, ma forse ora la Storia è tornata a cercarci”.
Non è però attraverso i tribunali penali che le questioni aperte possono essere affrontate oggi, secondo il politologo. “La società civile dovrebbe iniziare una discussione seria sul razzismo e sulla riparazione delle ingiustizie. – dice invece – In particolare, la Chiesa può aiutare meglio di altri a parlare di razzismo, del perché alcuni ancora lo condividono e di quanto sia illogico, ma prima di tutto bisogna ammettere che ad alcuni aspetti di questo problema, finora, non si è prestata seriamente attenzione”.