Oggi una rappresentanza dei donatori di sangue italiani partecipa in piazza San Pietro all’udienza giubilare con papa Francesco: un bel riconoscimento per un’opera pratica di misericordia che, però, è poco diffusa e ancora una questione problematica in molti Paesi del Sud del mondo.
25mila donatori di sangue per la prima volta oggi affluiranno tra le braccia del colonnato di Piazza San Pietro per un’udienza speciale con papa Francesco che con loro celebrerà il «Giubileo dei donatori di sangue». Si tratta di un incontro tra il pontefice e una rappresentanza di quel milione e 700mila volontari italiani che – appoggiandosi alle quattro grandi associazioni Avis, Croce Rossa, Fidas e Fratres – hanno fatto della trasfusione una buona pratica di vita. Accompagnati da una delegazione del Centro Nazionale Sangue, l’organismo che dal 2007 coordina il sistema trasfusionale italiano, i pellegrini arriveranno da tutte le regioni italiane per riflettere sull’attualità della donazione come gesto disinteressato, anonimo e gratuito che ha quindi tutte le caratteristiche di una vera «opera di misericordia».
L’Italia può dirsi fortunata per quanto riguarda la disponibilità di sangue per trasfusioni e interventi chirurgici: pur con i dovuti distinguo seguendo i quali Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Piemonte risultano i centri dove si raccolgono oltre 200mila donazioni all’anno, i dati mostrano che da qualche anno la nostra penisola ha raggiunto l’autosufficienza di globuli rossi (mentre per il plasma deve ancora ricorrere all’importazione dall’estero).
Non è così in altri Paesi del Sud del mondo, dove il problema della donazione sanguigna resta un’urgenza per motivi pratici, sanitari e culturali. Quasi la metà delle donazioni nel mondo (che dal 2004 al 2011 sono aumentate di 7,7 milioni di unità) infatti proviene da Stati ad alto reddito, dove risiede il 15% della popolazione mondiale. In Occidente il sangue viene utilizzato per interventi di chirurgia cardiovascolare, trapianti e terapie oncologiche e – per il 76% – riguarda gli over 65enni; nelle nazioni più povere invece sono i bambini sotto i 5 anni i primi riceventi (per il 65%) soprattutto per colpa di complicanze legate al parto o all’anemia che affligge i piccoli.
Solo nell’Africa subsahariana si registra il 50% dei casi mondiali di decessi provocati per forti sanguinamenti a seguito del parto e per la mancanza di trasfusione, mentre un altro terzo di queste morti riguarda il Sud-est asiatico e in particolare le ragazze con meno di 15 anni.
Uno studio ha mostrato come in Nigeria – soprattutto nelle zone più lontane dalla città – il rifiuto della donazione volontaria di sangue dipenda da fattori socio-demografici, come l’analfabetismo e il basso livello di istruzione ma anche su una mancata consapevolezza riguardo l’uso del sangue donato.
Un altro motivo della bassa diffusione delle donazioni nei Paesi in via di sviluppo è che spesso i controlli di sicurezza sul sangue donato non sono sufficienti, mentre dovrebbero esserlo in particolar modo in quelle nazioni dove il virus Hiv raggiunge percentuali altissime tra la popolazione. In ancora 73 nazioni, poi, la metà del fabbisogno di sangue per le trasfusioni locali proviene da familiari o donatori retribuiti: l’obiettivo in questo senso dell’Organizzazione Mondiale della Sanità è – entro il 2020 – di estendere il prelievo volontario in tutti i paesi del mondo.
Anche per incentivare la donazione di volontari, dal 1955 è nata la Federazione mondiale delle organizzazioni di donatori di sangue (Fiods), un organo che raggruppa rappresentanti di 75 nazioni e che ogni anno promuove (insieme a Oms, Onu, Società Internazionale di Trasfusione Sanguigna e Lega delle Società di Croce Rossa e di Mezzaluna) un convegno di riflessione sulle diverse problematiche dei singoli Paesi e di ricerca di soluzioni comuni sul sistema di raccolta e di reclutamento dei volontari. In particolare, si punta ad aiutare i continenti di Asia e Africa a intraprendere percorsi verso l’autosufficienza non solo a livello delle associazioni ma anche sensibilizzando la politica a muoversi in questa direzione. L’anno scorso non a caso il Forum internazionale dei donatori di sangue si è svolto entro la cornice dell’evento di Expo, mentre nel 2016 la riunione si terrà in Libano.
In questo quadro ci sono però delle eccezioni, prima delle quali l’Uganda che nel 2012 è stata dichiarata dall’Organizzazione mondiale della sanità come la prima delle nazioni africane per sicurezza e percentuale di donazioni di sangue volontarie. Anche Dakar può vantare uno dei migliori centri trasfusionali del continente, completamente ristrutturato negli anni Novanta grazie a un progetto in collaborazione con l’Avis di Lodi che recentemente ha accolto in Italia il medico senegalese Adama Tall che per una settimana ha visitato i reparti di ematologia di Lodi, Varese e Brescia proprio per migliorare le proprie competenze professionali soprattutto nella cura delle anemie, vera piaga africana.
Per l’anno della Misericordia, poi, la Catholic Health Association of India ha iniziato ad organizzare sessioni di donazione di sangue in diversi stati della nazione, sottoponendo volontari provenienti dai villaggi a esami specifici sulla loro condizione di salute. Le campagne – l’ultima delle quali condotta a Secunderabad a sud dell’India – sono supportate dalla Christian Medical Association of India e dal Consiglio Nazionale delle Chiese in India che, proprio per questo anno giubilare, come dichiarato dal direttore generale all’Agenzia Fides «nel 2016 rafforza l’impegno nel ministero di guarigione […], con le sue strutture e con il personale, nell’ottica della compassione» soprattutto nei confronti di chi non può permettersi cure costose.
In India il problema della donazione del sangue, infatti, è particolarmente delicato in quanto si intreccia con quello delle caste. La gente è restia alle trasfusioni per paura della contaminazione con gli sconosciuti donatori. Per questo dal 1995 padre Francio Alapatt, direttore di un ospedale nel Kerala e fondatore dell’associazione di donatori Blood Donors Forum, promuove la donazione del sangue tra i fedeli e da anni ha inaugurato una campagna per far conoscere ai suoi parrocchiani il proprio gruppo sanguigno. Questa missione è diventata parte del suo ministero da sacerdote tanto che ad Asianews disse che «donare sangue è seguire il sacrificio di Gesù che ha dato il suo corpo e il suo sangue per la salvezza del mondo».
Non è un caso dunque che la Chiesa cattolica indiana abbia scelto qualche anno fa di commemorare 60 martiri locali proprio con la donazione del sangue come gesto dall’alto valore simbolico. Secondo Alapatt, le donazioni di sangue non sono altro che «la forma più bella di armonia sociale» soprattutto in un paese come l’India: «Un indù che offre il sangue a un musulmano, un cristiano che fa una donazione per un sikh: questi sono semplici ma significativi atti di amore e di amicizia».