Il presidente uscente Museveni è stato riconfermato in elezioni contestate, che hanno rotto l’unità mostrata durante la visita di Francesco. Il comboniano padre Tonino Pasolini: alla ‘Chiesa in uscita’ il compito di richiamare la classe politica alle sue responsabilità
A Kampala, il 28 novembre scorso, festeggiavano a migliaia con cori, balli, bandiere e luci: papa Francesco era appena atterrato in Uganda per la seconda tappa del suo atteso viaggio africano. Meno di tre mesi dopo, nella capitale l’atmosfera è ben diversa: ad esultare sono solo i sostenitori del presidente Yoweri Museveni, rieletto alla guida del Paese dopo il voto del 18 febbraio. Ufficialmente ha prevalso con il 61% contro il 35% del suo principale sfidante, Kizza Besigye, ma gli osservatori dell’Unione europea hanno parlato di consultazioni influenzate da “paura e intimidazioni”. Lo stesso Besigye è stato arrestato più volte nella settimana a cavallo del voto, l’ultima con l’accusa di voler fomentare disordini contro il presidente eletto.
Il Paese, insomma, non potrebbe sembrare più lontano da quello che aveva accolto il Pontefice e il suo messaggio imperniato anche sull’invito all’unità. “Il rapporto che si sta costruendo tra i cattolici e le altre denominazioni cristiane aveva avuto una spinta forte, soprattutto con la visita al santuario di Namugongo, dove sia gli anglicani che i cattolici ricordano i martiri locali. – spiega anche padre Tonino Pasolini, missionario comboniano e direttore dell’emittente Radio Pacis di Arua, nel nord -. Lo stesso arcivescovo che guida la Chiesa anglicana d’Uganda aveva invitato i fedeli ad accogliere il Papa, dicendo che sarebbe venuto per tutti coloro che lavorano per la pace”.
Forse anche la volontà di evitare conflitti ha spinto molti a disertare le urne (a votare è stato il 63% degli elettori) o ad appoggiare Museveni, che sull’immagine di pacificatore del Paese ha insistito negli anni. A dominare oggi è però un altro sentimento, secondo padre Pasolini, che premette: “Il partito di governo ha usato per la campagna elettorale tutti i mezzi possibili, dal punto di vista finanziario e mediatico, impiegando anche risorse del bilancio dello Stato; nessuno poteva competere”. Segno, continua il sacerdote, che “il desiderio di potere, non certo un valore cristiano, è nel cuore di molti; questo si vede chiaramente a tutti i livelli della società”. Proprio da questo punto di vista, però, si aprono spazi possibili per l’azione dei religiosi, alla luce di un’altra ‘parola d’ordine’ del viaggio papale: quella della missionarietà, cioè della ‘Chiesa in uscita’ cara al Pontefice.
Tra le emergenze da affrontare, quella del lavoro, la cui mancanza colpisce soprattutto i giovani, nati e cresciuti proprio durante gli anni di Museveni al potere. “La Chiesa cerca di aiutarli con iniziative come le scuole professionali, ma creare strutture dove queste competenze possano essere usate per lavorare è al di sopra delle nostre possibilità: c’è bisogno dell’azione di un governo che pensi alle necessità della popolazione”, nota il direttore di Radio Pacis. “È in questo – conclude il missionario – che come religiosi possiamo essere decisivi: nel creare una coscienza nuova anche in chi ci governa”.