Le tensioni iniziate lo scorso giugno nel nordovest si sono estese ad altre parti del paese: lo scontro tra governo e opposizione rischia di spaccare lo Stato. I vescovi chiedono di “agire in rete” contro il conflitto
Un blindato davanti alla fila delle auto, uno nel mezzo, uno in coda al gruppo di almeno 100 veicoli: è la coluna militar, che l’esercito del Mozambico impone quando il rischio di agguati lungo le strade diventa concreto. Da metà febbraio, tra il fiume Save e la località di Muxungue, nella provincia centrale di Sofala, e poi più a nord, nei pressi della foresta di Gorongosa, ormai si viaggia solo così. “A rischiare di più sono camionisti e conducenti di autobus, che tutti i giorni devono spostarsi in queste zone. – testimonia padre Claudio Zuccala, missionario dei Padri Bianchi nel paese – Il resto della popolazione non è stato colpito, ma è come quando si getta una pietra nello stagno e i cerchi nell’acqua si allargano sempre di più…”.
Nella provincia dove il religioso opera, quella nordoccidentale di Tete, la tensione è però alta già da giugno scorso: almeno cinquemila persone sono fuggite nel vicino Malawi, per evitare di trovarsi al centro della contrapposizione tra l’esercito e la Resistenza nazionale mozambicana (Renamo), l’ex ribellione armata diventata partito politico dopo la fine della guerra civile, nel 1992. Ora il leader storico degli insorti, Afonso Dhlakama, si è dato di nuovo alla macchia, accusando l’esercito di volerlo eliminare, ed ha minacciato di prendere entro marzo il potere nel centronord del Paese, dove il suo movimento è più forte.
Non è la prima volta che in Mozambico si arriva vicini al punto di rottura: l’opposizione lamenta di essere stata marginalizzata ed esclusa dai benefici dello sfruttamento delle abbondanti risorse naturali, tra cui carbone e gas. Oggi come in passato, la speranza è quella di un accordo al vertice, per cui non spingono soltanto i moderati dei due schieramenti, ma anche buona parte dei cittadini. “In varie città si sono organizzate manifestazioni per la pace, a cui hanno partecipato gli stessi politici locali. – nota padre Zuccala – Sono iniziative nate da una reazione immediata alle ultime notizie, ma mostrano che i mozambicani sono preoccupati per le conseguenze delle tensioni, pochi seguono i leader”.
Coordinare e rendere più efficaci questi sforzi per pace è quello che si propone la Chiesa. Durante una recente riunione la Commissione episcopale Giustizia e pace ha sottolineato, infatti, “la necessità di non agire soli, ma in rete”. “Cerchiamo altri gruppi della società civile che possano essere interessati a manifestare pubblicamente la nostra preoccupazione, che è quella di molti in Mozambico”, hanno specificato i presuli. A far sentire la sua voce è stato anche l’arcivescovo di Beira, mons. Claudio Dalla Zuanna: “Se la vita sociale non sarà guidata dalla verità e la giustizia, è improbabile che le armi tacciano”, ha sostenuto in un incontro pubblico. E ha aggiunto: “Le persone, le organizzazioni, i partiti e i governi, senza questi mezzi, non possono avere alcuna possibilità di vincere i nemici della pace. E la pace in Mozambico ha i suoi nemici: coloro i cui interessi finiscono per essere favoriti dalla guerra”.