Diffusa la trascrizione della testimonianza di sister Sally raccolta dalle consorelle sull’agguato alle Missionarie della Carità nello Yemen. Il commando sapeva che erano in cinque e la stava cercando, ma la porta della cella frigorifera l’ha nascosta. Erano cristiani i cinque etiopi uccisi. Il Papa da tempo si informava sulla loro situazione
Assomiglia molto a un martirologio dei primi secoli. Anche nella sua forma. È il racconto che le Missionarie della Carità hanno raccolto da Sister Sally, la superiora del convento di Aden, l’unica sopravvissuta al massacro delle Missionarie della Carità. È scritto a mano da una consorella su tre fogli fitti. Ed è girato in questi giorni di casa in casa tra le suore di madre Teresa. A pubblicarlo ora è il sito della testata cattolica americana National Catholic Register, che l’ha diffuso on line in una trascrizione completa dell’originale inglese.
Tanti i dettagli sulla strage che emergono dal racconto. Il primo – il più importante probabilmente – è una conferma: anche cinque delle altre vittime, cinque giovani etiopi, erano cristiani. E sister Sally racconta che anche le altre vittime musulmane, mentre venivano uccise, gridavano al commando dell’Isis di risparmiare le suore. La superiora racconta di essersi salvata nascondendosi nella cella frigorifera della casa. Ma aggiunge anche che chi ha compiuto la strage sapeva che le religiose erano cinque e l’ha cercata a lungo: sono arrivati anche alla cella frigorifera, l’hanno aperta, ma miracolosamente non si sono accorti che la religiosa era dietro la porta.
Quanto al salesiamo rapito, padre Tom, la Missionaria della Carità sopravvissuta racconta che ha consumato le particole rimaste nel tabernacolo prima che i jihadisti arrivassero. E portandolo via il commando ha devastato tutto ciò che ha trovato nella cappella.
Una volta che gli uomini sono andati via sister Sally racconta di aver visitato a uno a uno tutti gli ospiti della casa, per sincerarsi che stessero bene. Quando è arrivata la polizia non voleva lasciare la struttura, gli anziani e i disabili della struttura le chiedevano di restare. È stata la polizia a insistere perché li seguisse, dicendo che il commando probabilmente sarebbe tornato a cercarla.
Dal racconto di sister Sally emerge che le suore erano pienamente consapevoli dei rischi che ad Aden stavano correndo. Racconta che padre Tom ripeteva ogni giorno: «Stiamo pronti per il martirio». E aggiunge anche che papa Francesco stesso – ogni settimava, attraverso il suo segretario – chiedeva notizie di loro al segretario di Stato dello Yemen e faceva sentire alle religiose la sua vicinanza.
Nel racconto c’è anche tutta la riflessione sul dramma vissuto: sister Sally si sente quasi in colpa per essere sopravvissuta alle consorelle; ma un’altra suora le dice che era volontà di Dio che lei rimanesse in vita per raccontare.
Sister Sally racconta anche come sia arrivata l’Isis nella loro città: Aden è una città ricca – dice – voleva la sua indipendenza, e per ottenerla ha chiamato l’Isis per combattere contro il resto dello Yemen. Ma quando Aden ha vinto l’Isis non se n’è andata. E adesso vuole cancellare la presenza cristiana. Prima, invece, durante la guerra, non avevano tempo da perdere con le suore. «Le consorelle sarebbero potute morire tante volte durante la guerra – commenta – ma Dio ha voluto che fosse chiaro che erano martiri per la loro fede».
La religiosa sopravvissuta racconta che gli altri musulmani sono sempre stati molto rispettosi nei loro confronti. E infine confida quale sia oggi la sua preghiera: «Prego che il loro sangue sia seme di pace nel Medio Oriente e possa fermare l’Isis».
Il commento finale di sister Rio, la Missionaria della Carità che ha raccolto la testimonianza della superiora di Aden, è fortissimo: «Erano talmente fedeli alla loro missione che l’Isis sapeva perfettamente quando iniziavano e quando finivano il loro lavoro nella casa. Proprio per questa fedeltà erano nel posto giusto e al momento giusto, pronte per lo Sposo che viene».