Il presidente dell’Angola Dos Santos, al potere dal 1979, annuncia l’addio alla politica nel 2018. Ma i vescovi locali denunciano corruzione, nepotismo e avidità dei gruppi politici e militari. Che resteranno comunque al potere.
In quasi quarant’anni dal palazzo presidenziale ha visto finire la guerra fredda e quella civile, ha assistito alla trasformazione dell’Angola da periferia economica del mondo socialista a potenza petrolifera nell’era del capitalismo rampante. Ora, José Eduardo Dos Santos, capo di Stato angolano dal 1979, il secondo più longevo tra quelli africani, ha dichiarato che lascerà il potere nel 2018.
La decisione chiude un’epoca per il Paese, ma ne lascia intatte le contraddizioni. I proventi del settore petrolifero, infatti, hanno permesso una crescita economica vertiginosa (+11%, in media, fino al 2010) ma mal distribuita. Ancora oggi due terzi della popolazione, secondo la Banca Mondiale, vivono con meno di due dollari al giorno. A beneficiare di gran parte delle ricchezze è invece una piccola élite, per lo più legata a Dos Santos stesso (la fortuna della figlia Isabel, considerata la donna più ricca d’Africa, supera i tre miliardi di dollari) o, attraverso di lui, ai potenti generali delle forze armate. Per le spese militari, infatti, il denaro non è mai mancato: l’Angola, secondo gli ultimi dati dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), nel 2014 ha aumentato le spese militari del 12%, raggiungendo gli 11,9 miliardi di dollari: un altro record continentale.
A rimproverare al governo i danni di questo attaccamento al potere sono stati attivisti, partiti d’opposizione e anche i vescovi cattolici. I toni del documento uscito, il 9 marzo, dalla loro ultima assemblea, sono forti. La crisi economica che il paese attraversa da mesi per il calo dei prezzi del petrolio, si legge nella nota, deriva anche da «mancanza di etica, mala gestione dell’erario pubblico e corruzione generalizzata». Le ricchezze dell’élite, invece, sono state «spesso acquisite in maniera disonesta e fraudolenta», proseguono i vescovi, facendo eco, a livello locale, ai richiami che più volte papa Francesco ha indirizzato ad amministratori pubblici corrotti e avidi di privilegi. Non mancano poi, nelle parole dei presuli, accuse circostanziate come quando si mettono in relazione l’aumento di casi di dissenteria, malaria e febbre gialla con gli episodi avvenuti «in molti ospedali». Da queste strutture statali, in particolare, sono scomparsi farmaci, poi inviati «alle farmacie private o centri di salute o al mercato parallelo dove vengono venduti a prezzi insostenibili per la maggior parte della popolazione».
Esplicita è anche la critica a «nepotismo» e «politicizzazione crescente dell’amministrazione pubblica, che sacrifica competenza e merito». Parole che, sia pur arrivate prima dell’annuncio di Dos Santos, il presidente probabilmente non gradirà. Un’ipotesi condivisa, infatti è che ritirandosi nel 2018 e non al termine dell’attuale mandato, un anno prima, l’uomo politico intenda preparare la successione a favore del figlio, José Filomeno, o della stessa Isabel. Mantenendo dunque ‘in famiglia’ il controllo dello Stato.