Sono da poco rientrato in Cambogia e vivo questo rientro come un nuovo inizio, come una resurrezione. Essere riconosciuto dopo alcuni anni ormai trascorsi, chiamato per nome, è stato quanto di più bello potesse capitarmi. Era come se di me ricordassero solo il bene e avessero già perdonato tutto il male…
«Misericordia allora, Angelo del Lunedì
che rovesci il disastro in un
giorno risorto. Punta al nostro
stupido cuore e fanne pura sostanza (…)», M. Gualtieri.
Sono da poco rientrato in Cambogia e vivo questo rientro come un nuovo inizio, come una resurrezione. Ho già vissuto per dieci anni in questo bel Paese del sud-est asiatico, ma ora tutto sembra comandato dall’«Angelo del Lunedì». Da qualche tempo, come uomo e come missionario, sono alla ricerca di un sinonimo della parola e della buona notizia della resurrezione di Gesù. Non appena un vocabolo o un’astratta considerazione dello spirito, quanto un’esperienza che mi consenta di percepire, come l’apostolo Paolo, “la potenza della sua resurrezione” (Fil 3,10), un’esperienza che mi si offra come inequivocabile segno del fatto che “non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). Ebbene, la partenza dall’Italia per la Cambogia si sta rivelando come l’esperienza più adeguata della Risurrezione. Per un missionario, infatti, partire significa risorgere, lasciarsi agire dalla potenza della risurrezione di Cristo senza la quale la nostra stessa fede sarebbe vana. E ancora, partire per la missione non solo è quanto di più normale possa accadere, ma è anche la resa più bella al Mistero di Dio. Partire è risorgere!
Appena arrivato in Cambogia e nei giorni successivi ho incontrato molti amici, ex-studenti dell’ostello o della nostra scuola di Prey Veng. Essere da loro riconosciuto, chiamato per nome, è stato quanto di più bello potesse capitarmi. Ho compreso quanto le nostre storie fossero intrecciate e benedette. Storie di salvezza e di resurrezione, come se di me ricordassero solo il bene e avessero già perdonato tutto il male. Mi aspettavano, aspettavano che tornassi a casa. E loro erano lì pronti a riconoscermi. Nel loro riconoscimento ho sentito e sento il perdono di Dio. Hanno dimenticato le mie colpe, mi hanno riconosciuto come un bene per loro al punto che ora sento un debito di amore, di perdono e, in questo anno santo, un debito di misericordia. Il loro modo di chiamarmi per nome, di riconoscermi, è risurrezione. Già il filosofo francese Paul Ricoeur aveva intuito che un uomo “che agisce e soffre, prima di arrivare al riconoscimento di ciò che egli è in verità, ossia un uomo capace di certe realizzazioni, (…) ha bisogno dell’aiuto di altri”: l’essere, il nostro essere, vive solo come “un essere-riconosciuto”. Per questo sento che nella partenza dall’Italia c’è un paradossale ritorno a casa e posso scrivere con Boris Pasternak che, nell’essere-riconosciuti, si è spinti “sino all’essenza dei giorni passati, / sino alla loro ragione, / sino ai motivi, sino alle radici, / sino al midollo”.
Ricordo ancora Kosol quindicenne quando fu accompagnato dal papà al nostro ostello di Prey Veng. In bicicletta, quaranta chilometri di strada sterrata, Kosol seduto dietro, in cerca di un futuro migliore. E ricordo quel padre che, nel consegnarmi il figlio, mi raccomandava di averne cura come un figlio mio. Ora Kosol è sposato e ha una bambina. Da qualche anno si trova in Corea per lavoro, ma tutti i mesi trattiene dieci dollari del suo salario per aiutare gli studenti ancora in corso. Anche questo è resurrezione. Addirittura vorrebbe farsi carico di uno dei nostri studenti per tutto il percorso universitario.
Devo però ammettere che in mezzo a questa esperienza mi sovviene il ricordo di chi, per causa mia, ha avuto meno fortuna.
Infatti, nei miei primi dieci anni in Cambogia non tutto è andato per il verso giusto. Nel corso degli anni ho allontanato tre ragazzi dall’ostello. Si chiamavano Bunna, Simuon e Makará. Certo, avevo ragioni plausibili per farlo, il loro comportamento e il loro rendimento scolastico non raggiungeva gli standard richiesti. Ora però non mi interessa più il solo versante razionale delle cose, ma anche il resto e, con il senno di poi, se potessi tornare indietro, non li lascerei più andare. Li terrei con me, camminerei ancora con loro. Invece, anni fa, decisi di allontanarli. Ora vorrei rivederli, sapere che fine hanno fatto, se hanno potuto studiare oppure no, se hanno un lavoro, se si sono sposati e hanno figli. Vorrei sapere se quel mio atteggiamento che più volte ho confessato e per il quale sono stato perdonato, ha causato conseguenze irreparabili nelle loro vite. Forse, allontanandoli dall’ostello, hanno smesso di studiare, sono finiti male… In tal caso quel mio gesto, che pur nella confessione é stato perdonato, ha causato conseguenze ben oltre il perdono ricevuto.
Qui si inserisce il senso dell’anno santo e delle indulgenze. Preghiamo perché Dio ci aiuti a porre rimedio non solo al nostro peccato, che Lui ha già più volte perdonato, ma soprattutto alle brutte conseguenze, ai residui di male, che questo peccato ha causato nelle vite degli altri. Nelle vite dei nostri figli… Perché Bunna, Simuon e Makará erano, in qualche modo, figli miei. Quanto ho pregato per quei tre ragazzi, quante volte ho pensato a loro e li ho benedetti da lontano perché ormai non avrei potuto più fare nulla. Quante volte avrei voluto tornare indietro, riavvolgere il nastro della mia vita missionaria, riscriverla di nuovo e riprenderli all’ostello. Avrei voluto chiamarli, fare qualsiasi cosa ma, in quel mentre, mi trovavo già in Italia. Quante volte mi sono messo alla ricerca di quel tempo perduto. Quante volte il senso di colpa mi ha messo fretta e quante volte solo l’esperienza della fede mi ha spinto a cercare una porta che fosse per me un accesso pieno al mondo di Dio che è Misericordia. Una Misericordia che mi fa amare la vita. Per questo, ora, “tutto il mio tormento consiste nella paura di non poterne godere abbastanza a lungo e appieno. Le giornate mi sembrano troppo brevi. Il sole tramonta troppo presto. Le estati finiscono così in fretta. La morte arriva …” (Irène Némirovsky). “Misericordia allora!”: perché partire, o ri-partire ogni giorno, è già risurrezione.
Un grazie particolare agli amici, ai sacerdoti, ai parenti, alle comunità e ai gruppi, alle scuole e alle case di riposo che, in questi anni, mi hanno aiutato, perdonato, incoraggiato e, infine…, mi hanno lasciato partire in pace. Per tutti loro, soprattutto per gli anziani ospiti delle case di riposo, chiedo la costante visita dell’Angelo del Lunedì! Oggi, domenica di Pasqua, qui nella mia diocesi, 24 adulti e 6 bambini hanno ricevuto il sacramento del Battesimo. Anche questo è resurrezione.
Buona Pasqua a tutti, ciao!
padre Alberto