Anche in orbita si può pregare. A dirlo l’astronauta cattolico Mike Hopkins che si è portato la comunione in missione spaziale, ma anche ebrei e musulmani che non rinunciano ai loro riti tradizionali nemmeno a bordo dello space shuttle.
Forse sarà perché in cielo ci si sente più vicini a Dio, o forse è solo merito del panorama altrimenti inspiegabile ma – comunque sia – portare il proprio credo fin nello spazio non è affatto una rarità. A differenza di tempi passati infatti quando religione e scienza sembravano aspetti tra loro inconciliabili, oggi sono tanti gli astronauti che pregano in orbita senza farne mistero.
L’americano Mike Hopkins, per esempio, che dal settembre 2013 ha passato sei mesi in missione sulla Stazione Spaziale Internazionale, ha dichiarato: «Quando vedi la Terra da questo punto di vista privilegiato e osservi le bellezze naturali, è difficile non pensare che c’è un potere più grande che ha fatto tutto ciò».
Proprio per questo Hopkins, di famiglia metodista ma convertitosi al cattolicesimo a 45 anni poco prima della partenza per lo spazio, ha ritenuto indispensabile trovare un modo per non sospendere le proprie pratiche religiose anche a 400 chilometri dal pianeta Terra.
Innanzitutto l’astronauta – grazie a una particolare dispensa ottenuta dall’arcivescovo di Gaveston-Houston – nel suo risicatissimo bagaglio spaziale ha infilato una pisside con sei ostie consacrate divise in quattro pezzi ciascuna, sufficienti per fare la comunione una volta a settimana per tutta la durata della missione. Poi, una volta a bordo della Stazione, si è persino scelto una cappella spaziale: un atrio a vetrate detto la «Cupola» che offre un panorama cosmico. Il rigido programma di lavoro degli astronauti sull’ISS infatti prevede anche qualche ora di tempo libero, che permette di pregare o leggere la Bibbia.
«I miei colleghi sapevano che avevo l’eucarestia con me. – ha detto alla Catholic News Service – Infatti ne ho dovuto parlare con i miei superiori russi. Sapevano esattamente cosa facevo, anche se non ho mai cercato di parlarne troppo o di pubblicizzare la cosa. Da parte loro, rispettavano la mia fede e il mio desiderio di seguire questo credo anche in orbita».
D’accordo con un funzionario della Nasa, Hopkins per tutte le 24 settimane della missione ha persino ricevuto via e-mail l’omelia del suo parroco:«È stato essenziale per me. Camminare nello spazio (cosa che Hopkins ha fatto due volte per sostituire un modulo pompa della stazione, ndr) è una cosa stressante. Sapere che Gesù era con me mentre uscivo dalla porta e mi lanciavo nel vuoto è stato molto importante».
Ma Hopkins non è il primo credente che si porta la fede nello spazio. Già nel 1994 Sid Gutierrez, Thomas Jones e Kevin Chilton celebrarono una liturgia cattolica con l’Eucaristia a bordo di uno space shuttle in volo a 125 miglia sopra l’Oceano Pacifico. Nel 1968, invece, in piena era da febbre spaziale, l’equipaggio dell’Apollo 8 in orbita intorno alla luna lessero brani della Genesi in diretta tv e diventarono un’icona della corsa americana nello spazio. Sette mesi dopo, Buzz Aldrin – dopo un atterraggio sulla luna – celebrò il rito della comunione grazie a un kit da viaggio proveniente dalla sua parrocchia.
Non fecero niente di tutto ciò Mike Good e Mike Massimino, entrambi astronauti in pensione e reduci da “brevi” voli su navicelle spaziali tra gli anni Novanta e il Duemila, che, però, prima del lancio vollero confessarsi: «Tenti di essere nella migliore condizione possibile perché partire è molto pericoloso» dice sempre alla CNS Massimino, cui fa eco Good. «Essere sulla rampa di lancio è come stare in trincea. Non credo ci siano molti atei in trincea, come non credo ci siano molti atei sulla rampa di lancio».
Non è un caso che tra i tre chili di bagaglio che sono concessi a ogni astronauta, spesso ci siano anche crocifissi, santini, icone e oggetti religiosi. Massimino, al suo primo volo, portò addirittura una bandiera del Vaticano che – una volta atterrato sulla Terra – regalò a papa Giovanni Paolo II.
Nel 2011 anche papa Benedetto XVI ebbe il suo contatto con lo spazio in una lunga telefonata all’equipaggio della Stazione Internazionale; mentre durante la sua prossima missione nel maggio 2017 l’astronauta cattolico Mark Vande Hei vorrebbe richiedere una video-conferenza con papa Francesco.
Ma tra i camminatori dello spazio credenti ci sono anche alcuni devoti non cristiani. Nel 2003 l’astronauta israeliano Ilan Ramon – morto a bordo dello space shuttle durante le operazioni di rientro – partì con una microfiche della Bibbia e con la tradizionale benedizione ebrea trascritta sul suo diario. Nel 2007 il Consiglio nazionale della Fatwa ha introdotto proprio per venire incontro alle esigenze degli astronautialcune modifiche ai rituali tadizionali, come la preghiera in ginocchio verso la Mecca, un po’ difficile da praticare nello spazio.