Il domenicano padre James Channan dalla città pakistana colpita dalla strage di Pasqua: «Sono tanti i musulmani che ci hanno consolato anche in questa occasione dolorosa, hanno pianto con noi e pregato con noi per le vittime»
La strage della sera della vigilia di Pasqua in un’area destinata ai bambini del parco Gulshan-e-Iqbal di Lahore ha lasciato l’intero Pakistan in una condizione di dolore, timore e incertezza. Segnalando anche una evoluzione nella strategia talebana, almeno per quanto riguarda la sua fazione secessionista ora maggiormente attiva: l’attentato ha portato dichiaratamente violenza e destabilizzazione nella metropoli di sei milioni di abitanti, seconda città del Pakistan come popolazione, ma la prima per importanza economica e culturale. Città, inoltre dove il partito di maggioranza di governo – la Lega msulmana del Pakistan (fazione Sharif) – ha la sua roccaforte e di cui sono originari il premier Nawaz Sharif e il fratello Shahbaz Sharif che guida l’amministrazione della provincia del Punjab di cui Lahore è capoluogo.
Un atto di terrorismo che si è verificato a poca distanza dalla parrocchia di San Luca, affidata ai Domenicani e al Centro per la Pace, un’iniziativa dedicata al confronto, alla conoscenza reciproca tra le fedi e alla ricerca di convivenza. Quest’ultimo condotto da padre James Channan, domenicano, infaticabile sostenitore del dialogo nel suo Paese e altrove, compresi i posti dove i cristiani sono una piccola minoranza.
«Questo attacco è stato il peggiore nella storia di Lahore. Occorre sottolineare che se a restare uccisi sono stati 32 di cristiani, i musulmani hanno pagato un alto prezzo di sangue, inclusi donne e bambini. La Pasqua – per la prima volta inserita tra le festività ufficiali – corrispondeva infatti con il Festival della Primavera, in pieno svolgimento il giorno del massacro», segnala padre Channan, cittadino pachistano.
«I cristiani del Pakistan appartengono alle classi più povere e sono assai vulnerabili. Rappresentano anche un obiettivo facile per gli estremisti. In particolare nell’ultimo biennio, gli attacchi mortali contro i cristiani si sono moltiplicati, soprattutto di domenica, giorno della preghiera. Nonostante la persecuzione, tuttavia, e le discriminazioni, il numero di chi frequenta la Messa è cresciuto enormemente».
A contribuire a questo rinnovato coraggio che corrisponde a una rinnovata speranza, la solidarietà degli stessi musulmani, maggioritari nel Paese e a loro volta vittime di una violenza insensata che in un quindicennio ha provocato 40mila morti.
«Sono tanti i musulmani che ci hanno consolato anche in questa occasione dolorosa, che hanno pianto con noi e pregato con noi per le vittime. I leader musulmani, come quelli di altre fedi minoritarie hanno condannato la strage di Lahore in termini assai duri e a conferma, comunque, che i violenti, i militanti sono una esigua minoranza che cerca di creare panico e insicurezza»,
In questo contesto, che tiene in ostaggio politica e società e che rischia di far tornare il paese nelle mani dei militari che lo hanno gestito per la maggior parte del tempo dalle sua indipendenza dal 1947, quali prospettive ci sono affinché si affermino Stato di diritto e pacificazione, con quale contributo dei cristiani?
«Ciascuno deve fare la propria parte per cercare di mettere fine al conflitto interno, alle violenze e alla sopraffazione verso le minoranze – indica il domenicano -. Consola vedere l’impegno del governo per imporre misure di sicurezza e quello delle forze armate a chiudere la partita con i militanti jihadisti, come pure della polizia a catturare i colpevoli di terrorismo e portarli davanti ai giudici. Anche la Chiesa cattolica sta facendo del suo meglio. Noi stessi abbiamo organizzato al Centro per la pace iniziative di preghiera interreligiosa. Sono i cristiani a subire maggiormente la situazione di instabilità, ma mentre chiedono al governo misure per fermare gli assassini che si danno una motivazione religiosa devono essere i primi a promuovere dialogo, rispetto, riconciliazione, coesistenza, giocando un ruolo nel cambiare la mentalità degli estremisti violenti. Un compito impegnativo che le aggressioni ci stimolano tuttavia a perseguire, una sfida difficile ma non impossibile».