Il celebre cantante congolese è collassato sul palco del Festival de musique urbaine di Abidjan in Costa d’Avorio, lo scorso 23 aprile. Personaggio eclettico, stravagante e anche controverso ha segnato per sempre la musica africana e non solo
Se la rumba congolese aveva un re, quello era lui: Papa Wemba. Che, sabato 23 aprile, ha lasciato vacante il suo trono, con milioni di fan inconsolabili e un repertorio di decine di pezzi, che hanno fatto ballare l’intera Africa subsahariana per più di trent’anni.
È successo durante una performance al Festival de musique urbaine (Fesmua) di Abidjan in Costa d’Avorio. È morto sul palco, come Molière, magra consolazione per i suoi numerosissimi fan. L’ultimo gran maestro della rumba congolese ha così lasciato questo mondo al termine di un percorso eccezionale.
Nato 67 anni fa in Congo, quand’era ancora una colonia belga, Jules Shungu Wembadio Pene Kikumba (questo il suo vero nome) è il primogenito di una numerosa famiglia. Destinato a sostituire il padre, viene soprannominato Papa dai parenti. Dotato di una particolare vocalità, con quel timbro acuto che farà la sua specificità, comincia sin dall’adolescenza a partecipare ai gruppi musicali che si muovono allora sulla scena di Kinshasa. A quel tempo, si fa chiamare Jules Presley, riferendosi a Elvis da cui riprende le canzoni. Nel 1969, all’età di vent’anni, partecipa alla creazione del gruppo Zaïko Langa Langa, band che lancia un proprio stile musicale, il soukous, un mix di rumba congolese (ispirata a sua volta alla rumba cubana), musica pop e suoni tradizionali dei popoli del Congo. Cinque anni più tardi, lascia il gruppo e comincia la sua carriera da solista nel 1974. Si adopera per modernizzare la rumba, farla viaggiare nel mondo e inserirla nell’eclettico mondo della world music. La sua collaborazione con il musicista americano Peter Gabriel ne è una delle prime testimonianze all’inizio degli anni Novanta. Dopodiché produce un’infinità di canzoni, variando la musica e i temi : amore, relazioni, società in generale, bambini di strada… spesso con lo stesso leitmotiv: «Chance eloko pampa», ovvero, «Ciascuno ha diritto ad avere una chance nella vita».
Si è persino cimentato come attore, ricoprendo il ruolo di protagonista nel film La vita è bella del regista camerunese Mwezé Ngangura, nel 1987. Mentre Bernardo Bertolucci ha scelto due sue canzoni per la colonna sonora del film L’assedio nel 1999. È stato anche oggetto di documentari, come Papa Wemba, le roi de la Sape.
Papa Wemba ha fatto parlare molto di sé anche nel campo della moda, diventando uno dei leader della Sape (la “Société des ambianceurs et des personnes elegantes”) che ha riunito i congolesi di Francia negli anni Ottanta. Un’arte di vivere basata sul culto dell’apparire e dell’abbigliamento scintillante. Questo lato stravagante di Papa Wemba si è manifestato anche nei molti soprannomi che lui stesso si è attribuito nel corso della sua lunga carriera: Jeune premier, Ekumany, Kuru Yaka, Le chef coutumier, For idoles, Vieux Bokul, Fula Ngenge, Vieux Elombe, Mwalimu, Vieux Piton, Vieux neutre, Mobali ya Tembe, Vieux ya biso tout, Mangokoto grand prêtre…
Al di là di tutto, è indubbio che la sua influenza sulla musica africana contemporanea è innegabile. Ha ispirato numerose correnti musicali come il coupé-décallé in Costa d’Avorio, lo zingué in Camerun, la naija in Nigeria e naturalmente tutte le nuove generazioni di cantanti dei due Congo e in maniera non trascurabile moltissimi giovani cantanti e musicisti africani che hanno avuto successo in Europa, tra i quali il belga-ruandese Stromae o il franco-congolese Maître Gim’s.
Dopo la sua morte ha ricevuto tributi unanimi in tutta l’Africa e non solo. Papa Wemba ora è entrato definitivamente nella leggenda.