Entro il 2020 i dieci grattacieli più alti del mondo saranno tutti asiatici. Un dato che cambia la storia dell’urbanistica, ma non solo.
Colossi con gli occhi a mandola. Saranno così, fra meno di cinque anni, i grattaceli più alti del mondo perché – così dice un’interessante infografica che incrocia diversi basi di dati – nel 2020 la top ten includerà soltanto edifici asiatici.
Dal 1940 ad oggi infatti le cose sono molto cambiate e lo schema lo illustra bene, numeri alla mano. Allora erano gli anni in cui gli skyscrapers crescevano solo in America come miracoli metropolitani che lasciavano attoniti il resto del mondo: in questo periodo vengono eretti palazzi che diventeranno vere e proprie icone degli Stati Uniti come l’Empire State Building, un macigno di 381 e 102 piani senz’altro avveniristico per il 1931, data della costruzione.
Proprio l’Empire rimarrà un’eccezione architettonica imbattuta per stazza fino al 1972, quando la città di New York partorì le tristemente note Torri Gemelle, 35 metri e 8 piani più alte della storico “campanile” cittadino. Comunque sia, benché perdendo progressivamente posizioni, l’Empire State Building è rimasto nella classifica dei dieci edifici più alti del mondo fino alla soglia del Duemila.
A scalzare il primato ai colossi americani, ci provarono (senza successo) i russi in piena guerra fredda, quando ogni successo nazionale veniva salutato come una prova di superiorità sul rivale. L’Università di Mosca e il Palazzo della Cultura e della Scienza polacco, zona satellite dell’ex Unione Sovietica, entrarono nella lista per un breve tratto prima che la smania dei grattacieli prendesse Chicago e il Canada.
È solo con l’arrivo del nuovo secolo, però, che tra i magnifici dieci dell’urbanistica veriticale fanno la loro comparsa accanto alle opere americane i primi giganti asiatici. Le Petronas Twin Tower – che fin dal nome ricalcano con aria di sfida il modello newyorkese – costruite a Kuala Lumpur nel 1998, con i loro 452 metri d’altezza hanno detenuto per sei anni il record del mondo, diventando il simbolo del progresso economico della Malesia. Tre i grattacieli cinesi e un giapponese saliti agli onori della cronaca in questi anni tra cui la Jin Mao Tower situata a Pudong, il quartiere finanziario di Shanghai soprannominato la Manhattan cinese.
Oggi la situazione è cambiata ancora: i grattacieli americani sono stati messi decisamente in minoranza e detengono un posto nella top ten mondiale solo grazie alla Freedom Tower del nuovo World Trade Center, al quarto posto in classifica. Tutte le altre posizioni sono occupate ormai dai palazzoni asiatici, cinesi, arabi e giapponesi a partire dal Burj Khalifa, un grattacielo di 829 metri inaugurato nel distretto finanziario di Dubai nel 2010 e costruito al costo di 1,5 miliardi di dollari che oggi detiene il record mondiale d’altezza.
Ma, monitorando i cantieri del mondo, le stime dicono che fra quattro anni non ci sarà nemmeno un edificio occidentale nella classifica. L’Arabia Saudita investirà moltissimo nello sviluppo verso il cielo delle sue metropoli, dando i natali alla Jeddah Tower di ben 1000 metri di altezza, ovvero il più grande edificio mai costruito dall’uomo. New entries ben 4 grattacieli cinesi (a Wuhan, Shenzhen, Tianjin e Shenyang), uno malese (sempre a Kuala Lumpur) e persino uno sud coreano che sarà completato quest’anno a Seul.
Insomma, un cambio di identità che non dovrebbe interessare solo gli appassionati d’architettura. Perché costruire edifici imponenti (si pensi alle piramidi o ai templi greci…) significa aver preso coscienza della grandezza e prosperità della propria civiltà e volerla consegnare, platealmente, alla storia.