Dal 2004 le adozioni internazionali – che davano speranza a tanti bambini orfani – sono calate del 50% raggiungendo negli Usa il minimo storico degli ultimi 35 anni. I motivi del tracollo sono culturali e politici, ma a rimetterci sono 111mila piccoli nel mondo.
Un rapporto serio e denso, quello che ha stilato e firmato il Dipartimento di Stato americano lo scorso 1 aprile rendendo pubbliche le statistiche sulle adozioni internazionali compiute dagli americani nel 2015. I dati implacabili fotografano il calo netto (di circa il 75% dal 2004) di un fenomeno che per tanti bambini orfani del mondo è una, a volte l’unica, speranza di una vita migliore. Questa tendenza al ribasso – che in America è il minimo storico da 35 anni – si registra in realtà continuativamente in tutte le parti del mondo, dove pressoché ovunque le adozioni internazionali si sono dimezzate negli ultimi dodici anni.
Se la situazione è quindi piuttosto chiara nella sua drammaticità, tuttavia non lo sono le motivazioni che stanno dietro a questi dati. Gli ottimisti sperano che sia sceso il numero di bambini bisognosi di un’adozione internazionale oppure che siano cresciuti gli affidamenti a livello nazionale o ancora che le famiglie natali ricorrano meno del passato alla pratica dell’abbandono: ma non avendo a disposizione alcun dato su questo tema (anche perché in molti Paesi coinvolti le statistiche sono distorte per fini politici) non sembrano questi essere gli scenari più plausibili.
Alcuni osservatori sostengono più verosimilmente che la colpa sia di barriere culturali e politiche. In certi Paesi, che pure hanno un numero di bambini orfani più alto di quanto il loro sistema sociale possa permettersi, persistono disinformazione e nazionalismo. Ancora diffusa è l’idea, per esempio, che il cambio di nazionalità e cultura provochi un danno allo sviluppo del bambino. In realtà la ricerca ha dimostrato che i ragazzi adottati non soffrono di bassa autostima né fanno fatica a integrarsi e che, comunque, il benessere dei piccoli non è legato a una forte identificazione etnica ma alla percezione di un rapporto pacifico tra le proprie culture di riferimento. A scoraggiare le adozioni internazionali anche alcuni episodi di corruzione di funzionari per accelerare i procedimenti d’adozione e gli scandali del traffico di minori, che – secondo alcuni – potrebbe essere favorito dalla pratica dell’adozione internazionale. In realtà, proprio la necessità di trasparenza su un procedimento così delicato ha portato negli anni a una sempre maggiore burocratizzazione delle adozioni (per le quali servono certificati di nascita ufficiali, prove del Dna e, a volte, rapporti di polizia) che risultano di difficile applicazione in tanti Paesi poveri del mondo e rallentano – quando non bloccano del tutto – l’effettivo momento dell’adozione. Anche la politica ci mette del suo come, per esempio, ha fatto solo tre anni fa la Russia istituendo – per motivi diplomatici del tutto estranei a quelli umanitari – un divieto per adozioni di bambini orfani da parte di americani, che dal 2004 al 2013 erano stati circa 23mila.
Per colpa di questo calo, sono circa 111mila i bambini orfani che in questi 12 anni avrebbero potuto essere adottati negli Stati Uniti e che invece sono rimasti in orfanotrofi, case-famiglia oppure per strada. E questi numeri sono destinati a salire se il trend non subirà un’inversione di marcia.
L’adozione a livello nazionale infatti non ha lo stesso successo dal punto di vista del benessere dei ragazzi coinvolti: infatti, in molti Paesi dove il numero di bambini soli è elevato, l’adozione è stigmatizzata. Negli stati dell’ex Unione Sovietica è ancora in voga la credenza che i bambini adottabili siano deficitari dal punto di vista fisico o mentale; in Corea del Sud il legame di sangue è considerato sacro e pertanto l’adozione è uno strumento impopolare; in altre nazioni i bambini di etnie minoritarie o disabili poi vengono scartati per ragioni culturali.
Anche l’orfanotrofio non è la soluzione migliore, visto che i bambini sono a rischio malnutrizione, malattie infettive e abuso fisico. Una ricerca ha persino dimostrato che il tempo trascorso in istituto aumenta lo stress a livello cellulare.
L’adozione internazionale, insomma, rimane ancora oggi uno degli strumenti più efficaci per togliere i bambini orfani da situazioni pericolose e garantire loro un normale sviluppo fisico, emotivo e intellettuale degno di ogni persona.