L’ANALISI
Che cosa è successo veramente in questa settimana? Il colpo di Stato respinto dalla gente ha mostrato che anche in Africa, le transizioni politiche possono e devono farsi in modo democratico
Il cosiddetto “Paese degli uomini onesti” (questo il significato del nome Burkina Faso) ha conosciuto un nuovo episodio che segnerà la sua storia già ricca di colpi di scena. E di colpi di Stato! Il 16 settembre, dopo aver fatto arrestare il Presidente ad interim Michel Kafando e diversi membri del suo governo, il generale Gilbert Diendéré, capo Régiment spécial présidentiel (Rsp) ha preso il potere con la forza. Sette giorni dopo, il 22 settembre, ha annunciato la fine del suo colpo di Stato e la restituzione del potere al Presidente Kafando.
Ma che cosa è successo veramente in questa settimana? Innanzitutto la popolazione del Burkina Faso è stata la prima a respingere il colpo di Stato del Rsp. Gli attivisti dalla cosiddetta “scopa nazionale”, movimento spontaneo, creato per la cacciata di Blaise Compaoré il 30 ottobre 2014, hanno rapidamente ripreso servizio nelle strade, da Ouagadougou a Bobo-Dioulasso e in altre città del Paese, attaccando i simboli del nuovo potere militare. Accanto a loro, sindacati, partiti politici, la maggioranza dei media, i rappresentanti delle principali religioni e i capi tradizionali che hanno esplicitamente deplorato il colpo di Stato. Anche la restante parte dell’esercito, benché meno attrezzata e meno operativa rispetto ai 1300 elementi del Rsp, non è rimasta ai margini di questo movimento generale contro la presa di potere illegale da parte di Gilbert Diendéré.
I battaglioni di stanza nelle città di provincia hanno deciso di marciare sulla capitale con l’intenzione di disarmare i loro “fratelli in armi” del Rsp. A livello interno, dunque il generale golpista si è trovato solo. Allo stesso tempo, a livello internazionale, dalle Nazioni Unite all’Unione Africana è stato subito chiaro che nessuno avrebbe sostenuto Diendéré. Ecowas, l’organismo che riunisce i Paesi dell’Africa occidentale, ha inviato immediatamente una delegazione di capi di Stato per riportare alla ragione l’autore del golpe. Quanto alla Francia – ex potenza coloniale, che ha mantenuto un rapporto molto stretto e anche alcune truppe in Burkina Faso – ha ordinato al capo del Rsp di restituire il potere alle autorità civili. Isolato all’interno e all’esterno del Paese, Gilbert Diendéré si è quindi risolto a fare marcia indietro.
Ma che cosa a spinto quest’uomo a imbarcarsi in un’avventura condannata in anticipo al fallimento? Prima di tutto va detto chi il generale è Diendéré. Per quanto timido e schivo, questo militare ha partecipato a tutte le vicende più oscure della storia del Burkina Faso dai primi anni Ottanta, all’ombra del suo mentore, Blaise Compaoré. Ha fatto parte di quei giovani ufficiali che hanno rovesciato il colonnello Saye Zerbo nel 1982. Un anno dopo, ha partecipato al golpe che portava al potere Thomas Sankara. Per poi, nel 1987, far parte del piccolo gruppo di cospiratori che lo ha ucciso Sankara per portare al potere Compaoré. Per 27 anni, è rimasto al fianco di quest’ultimo, ricoprendo la carica di capo di Stato maggiore particolare del Presidente del Burkina Faso. In questo ruolo, è stato accusato di aver guidato tutte le campagne di epurazione contro l’opposizione e gli avversari del regime, in particolare l’omicidio del giornalista Norbert Zongo, ucciso nel 1998, mentre stava investigando sulla famiglia di Compaoré.
Nell’ottobre del 2014, quando le manifestazioni di piazza hanno portato alla destituzione di Compaoré (che voleva emendare la Costituzione per rimanere al potere), Diendéré ha accompagnato brevemente il suo “capo” sulla via dell’esilio per poi stabilirsi a Ouagadougou.
Non ha mai smesso di influenzare le decisioni delle istituzioni di transizione, incaricare di organizzare elezioni libere e democratiche. Impossibilitato a ottenere garanzie per gli ex dignitari del regime di Compaoré, ha approfittato di una decisione che annunciava la prossima dissoluzione del Spr per tentare di rovesciare il governo di transizione a tre settimane dalla data delle elezioni. Dopodiché, il golpista è stato costretto a riconoscere il suo errore.
In questo senso, il suo colpo di Stato ha un risvolto positivo. Mostra che non è più il tempo in cui un gruppo di ufficiali può recarsi impunemente alla televisione nazionale per annunciare che sta prendendo il potere. Anche in Africa, le transizioni politiche possono e devono farsi in modo democratico. Il suo gesto insensato permetterà inoltre di far comprendere la necessità di sciogliere il Rsp, un esercito nell’esercito, meglio attrezzato e in grado di interferire in qualsiasi momento nel cammino verso il normale processo istituzionale.
Di fatto, però, il gesto sconsiderato di Diendéré ritarderà il processo elettorale, che era stato avviato. E le sue scuse non riporteranno in vita i 15 morti o non daranno particolarmente sollievo ai 144 feriti. Certamente, il peggio è stato evitato, poiché la battaglia frontale tra Rsp ed esercito che si stava preparando per il 21 settembre è stata evitata. Ora, però, la gente è più vigile che mai. Una nuova mobilitazione popolare si è organizzata e domanda che la giustizia chieda finalmente il conto a Gilbert Diendéré. Perché impunità e democrazia difficilmente possono coesistere.
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Nella foto: sulle strade di Ouagadougou. Foto Flickr / Guillaume Colin & Pauline Penot