Riparte la mediazione europea – ma soprattutto italiana – nel conflitto civile in Mozambico. Lo conferma da Maputo, la capitale, padre Angelo Romano della comunità di Sant’Egidio, scelto insieme al delegato del governo italiano Mario Raffaelli come mediatore per conto dell’Unione europea.
A partire dal 2013 è salita la tensione fra il partito di governo Fronte di liberazione del Mozambico (Frelimo) e la Resistenza nazionale mozambicana (Renamo), ovvero le due parti in causa della guerra civile che si è conclusa più di vent’anni fa, nel ’92 con l’accordo di pace siglato a Roma, frutto di una negoziazione che vide in prima linea proprio la Comunità di Sant’Egidio. La Renamo, con il suo leader attuale Afonso Dhlakama, contesta il risultato delle presidenziali dell’ottobre 2014 e chiede una nuova legge elettorale. Dall’altra parte il governo denuncia l’anomalia di avere sul territorio nazionale un partito che continua ad avere annessa un’ala militare. La situazione è tuttora instabile con la Renamo che minaccia di prendere con la forza la parte settentrionale del Paese.
«Abbiamo messo a disposizione del governo e della Renamo la conoscenza che abbiamo del contesto locale e anche le reti di relazione che abbiamo continuato a tessere dopo la mediazione che ha portato all’accordo di pace del’ 92 (vedi foto a destra)» afferma padre Angelo Romano della Comunità di Sant’Egidio, che insieme a Mario Raffaelli è stato incaricato di seguire la mediazione per conto dell’Unione europea su indicazione dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Federica Mogherini.
Il tentativo di mediazione coordinato dall’Unione europea vede sei parti coinvolte: l’Ue stessa, la chiesa cattolica, una delegazione dal Sudafrica inviata dal presidente Jacob Zuma, una delegazione legata all’ex presidente della Tanzania Benjamin Mkapa e due organizzazioni non governative, l’Africa governance initiative fondata da Tony Blair e la Global Leadership – Botswana.
A proposito della situazione attuale del Mozambico, padre Romano parla di «tempesta perfetta»: «Alla crisi politica si somma quella economica. Dopo anni di crescita economica molto rapida, due fattori stanno mettendo duramente alla prova il Paese: il crollo dei prezzi delle materie prime (carbone, gas, alluminio) e un debito pubblico contratto con privati, che il governo ha tenuto fino all’ultimo nascosto, il che ha causato la sospensione degli aiuti finanziari dei Paesi europei e un intervento del Fondo monetario internazionale».
Il Mozambico è stato il paese africano con il più alto livello di crescita del debito estero tra il 2011 e il 2013, con un aumento del 30 per cento annuo. Il governo mozambicano ha riconosciuto ad aprile l’esistenza di debiti non dichiarati per circa 1,4 milioni di dollari concessi dal 2013 alle società Ematum, Proindicus e Mam. La grave situazione ha spinto alcuni partner, tra cui il gruppo di donatori internazionali G14, il Fondo monetario internazionale (Fmi) e la Banca mondiale a sospendere gli aiuti finanziari a Maputo, mettendo a dura prova le finanze del paese.
La brusca frenata dell’economia e la perdita di credibilità nei confronti degli investitori potrebbe però essere una delle molle che hanno spinto il governo mozambicano ad aprire la porta a mediatori internazionali.
«Nessuno ha delle ricette pronte da presentare alle due parti» afferma padre Romano, «speriamo solo che il negoziato non duri troppo tempo in modo da ridurre le conseguenze negative di questo conflitto in corso. C’è un’enorme aspettativa nel Paese per questa mediazione, si parla moltissimo del dialogo in corso e la gente vuole la pace».
Padre Romano faceva parte del team di Sant’Egidio anche nel’92 e sottolinea che il Mozambico di oggi è completamente diverso rispetto a quello di allora: «La crescita economica ha cambiato il volto del Paese, i livelli di istruzione si sono innalzati e molti più giovani hanno avuto accesso all’università. Nel ’92 il Mozambico era un Paese stremato in cui non si poteva viaggiare, c’erano regioni del Paese che erano rimaste isolate per quindici anni. Oggi tutto è connesso: i giovani hanno lo smarphone e, come i giovani di tutto il mondo, lo usano molto bene. Come i loro coetanei vogliono migliorare la propria condizione, lavorare all’estero e acquisire competenze. È una generazione che non ha conosciuto la guerra e non ha nessuna intenzione di tornare indietro. In Mozambico la maggior parte della popolazione adulta ha meno di 25 anni, si può dire quindi che il 60 per cento è nato dopo gli accordi di pace».
La popolazione mozambicana chiede la pace, la chiedono anche gli investitori e la nuova classe imprenditoriale del Paese. In teoria, potrebbe essere una “tempesta perfetta” a vantaggio della pace.