Nell’ottobre del 1973, alla vigilia della prima veglia missionaria, la “santa della carità” dialogò al Pime di Milano con tanti giovani. Un testo ancora attualissimo alla vigilia della sua canonizzazione
Nel cuore dell’Anno della Misericordia, domenica 4 settembre, Papa Francesco presiederà a Roma la canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta, che diventerà così anche “ufficialmente” la santa della carità. Sarà un momento di gioia anche per il Pime, che con Madre Teresa ha condiviso una grande amicizia. Proprio per questo vogliamo ricordarla andando con la memoria al primo incontro significativo con lei in Italia: il 20 ottobre 1973 – per iniziativa dell’allora direttore del Centro Pime di Milano, il compianto padre Giacomo Girardi, e di padre Piero Gheddo -, Madre Teresa guidò una marcia per le vie di Milano in quella che sarebbe diventata la prima veglia missionaria. Già la sera prima di quell’appuntamento circa duemila persone, in maggioranza giovani, affollarono la sede del Pime in via Mosè Bianchi per conoscere da vicino la suora con il sari bianco bordato d’azzurro.
Dopo il breve saluto iniziale di Madre Teresa, quell’incontro si trasformò presto in un dialogo, animato dalle domande di padre Girardi e delle persone presenti. A più di quarant’anni di distanza, lo riproponiamo qui come una testimonianza attualissima su che cosa significhi incontrare Gesù nel volto dei poveri.
Madre Teresa, che cosa pensa delle cattive notizie che vediamo ogni giorno sui giornali e alla televisione; la speranza, la gioia di cui lei parla come possono stare assieme con parole di guerra e di disperazione?
«La sofferenza per ciò che avviene nel mondo è dovuta a quanto noi possiamo produrre, dopo che siamo stati lasciati a noi stessi. Molta gente ha cercato di dimostrare che Dio non c’è e Dio sta dimostrando che Egli c’è. La guerra e la disperazione sono quanto noi produciamo quando siamo lasciati a noi stessi».
Pensa allora che gli uomini siano cattivi?
«Gli uomini del mondo non sono cattivi; sono affamati di Dio, e tocca a noi e a voi, tutti insieme, provare loro che Dio è amore, che Egli ci ama e noi dobbiamo amarci l’un l’altro come Egli ci ha amato».
Qual è il suo atteggiamento nel lavoro, nella sua azione, nella sua carità a Calcutta, a Lima, a Roma…?
«I poveri hanno accettato le sorelle con grande amore e rispetto. E la conseguenza è stata che il loro lavoro ha messo i poveri e i ricchi faccia a faccia. Le sorelle sono divenute un ponte, dove i poveri e i ricchi si incontrano e si aiutano reciprocamente. Il ricco diventa migliore, perché ha il dovere di mostrare l’amore di Dio nel servizio dei poveri. E il povero diventa migliore per l’amore che riceve dal ricco. Io penso che quest’unione porterà la pace nel mondo, perché la conoscenza l’uno dell’altro vive nell’amore e l’amore nel servire. Per questo vi chiedo di dare i vostri cuori per amare i poveri e le vostre mani per servirli. E pregate per noi perché possiamo essere capaci di continuare ad accendere la luce di Cristo nel mondo».
Madre Teresa, quale gioia provate in mezzo alla povertà, alla miseria, dove uno si sente istintivamente triste?
«“La gioia del Signore è la nostra forza” sta scritto nella Bibbia. Quindi non abbiamo ragione di essere infelici e tristi, ma abbiamo ogni ragione di essere felici e di portare questa gioia al mondo, perché Cristo molto spesso ha insistito di essere la causa della nostra gioia e la Madonna è “causa della nostra gioia”. Quando un’anima viene battezzata, il sacerdote dice al bambino e alle persone battezzate: “Andate e servite la Chiesa con gioia”. Noi tutti, se abbiamo Gesù in noi, dobbiamo portare la gioia come novità al mondo attraverso la nostra gioia. Per portare la gioia nel mondo è necessario avere la gioia nella famiglia, perché la pace e la guerra incominciano a casa propria; se realmente vogliamo la pace nel mondo amiamoci prima l’un l’altro nella famiglia, e così avremo la gioia di Cristo, nostra forza, fino alla fine della vita.
È davvero necessario vivere pienamente la vita di famiglia, mostrando la gioia; talvolta è molto difficile sorriderci l’un l’altro. Io insisto continuamente con i nostri collaboratori dicendo loro di rendersi capaci di sorridere nella propria famiglia. Spesso è difficile per il marito sorridere alla moglie e la moglie al marito, alla fine di una giornata, quando sono stanchi. Una volta mi fu chiesto se ero sposata, risposi di sì e aggiunsi che mi era difficile talvolta sorridere a Cristo. Noi abbiamo un meraviglioso dono da donare a Dio: offrire nel sorriso i propri cuori al servizio degli altri, nelle proprie famiglie e in quelle dei vicini».
Madre, chi sono per lei i poveri?
«I non-conosciuti, i non-liberi, anche nelle famiglie ricche abbiamo cuori molto poveri. Gesù ha parlato di un giudizio nell’ultimo giorno: “Ero affamato e voi mi avete nutrito, ero nudo e mi avete vestito, ero senza casa e mi avete accolto”. Vuol dire che noi saremo giudicati sull’amore e il povero è Cristo che ha bisogno di me. Ma il povero potreste essere voi ed io per ogni persona che sia sufficientemente gentile da mostrare a noi il suo amore».
In che senso i poveri sono speranza?
«Se oggi noi compiamo il nostro lavoro d’amore verso di loro, i poveri saranno per noi la via verso Dio. In questo senso sono speranza: attraverso loro noi andremo in Cielo».
Noi siamo tesi in uno sforzo continuo per vincere la povertà nel mondo e intanto dobbiamo presentarci come poveri. Non è una contraddizione?
«Senza avere esperienza della povertà, non possiamo conoscere chi sono i poveri. Non è sufficiente sperimentare la povertà di spirito; è necessario conoscere chi ha bisogno, essere senza qualcosa, non avere. Questo è difficile. In molti posti, specialmente per il nostro lavoro, riceviamo tutto il giorno denaro e cose, che realmente provengono da grossi sacrifici da parte della gente. Donano attraverso l’amore, fino a toccare il cuore. In Inghilterra, ad esempio, delle persone fanno molti sacrifici, specialmente in alcune parrocchie. Stando senza un pasto alla settimana, hanno raccolto in due anni il denaro sufficiente per comperare un’ambulanza. Potevano dare lo stesso denaro per comprare l’ambulanza, ma hanno scelto di raccoglierlo con i propri sacrifici. Questo è il modo con cui noi riceviamo la maggior parte degli aiuti che vedete: è un vero dono d’amore da parte della gente, dal ricco e dal povero».
Cosa chiede a quanti vogliono fare parte delle vostre comunità?
«Salute di mente e di corpo; un sacco di buon senso; una capacità di imparare e una disposizione al buon umore. Chi, dopo aver provato, dimostra di non avere queste quattro disposizioni, non può rimanere. La capacità di imparare sta nell’apprendere ad essere miti ed umili di cuore».
Ci sono qui tanti giovani sensibili ai poveri, all’amore del Signore. Come mai – allora – ci sono poche vocazioni nei nostri Paesi?
«Non è che non ci siano vocazioni; piuttosto penso che ci sia poca preghiera nella famiglia e probabilmente nella nostra vita religiosa non c’è sufficiente consacrazione e donazione. Ma moltissimo dipende dalla nostra vita di famiglia: c’è troppo poca preghiera e senza quest’unione con Cristo, che viene a noi dalla preghiera, è difficile anche per Gesù venire a scegliere i suoi».
Da quanto lei ha detto sembra che il povero sia una sorgente di gioia per noi e che dobbiamo dare amore a lui; ma questo è sufficiente? Il povero non ci chiede anche di essere liberato dalla povertà che lo costringe nella miseria?
«Penso che prima di poter aiutare gli altri, i poveri a liberarsi dalla loro povertà, dobbiamo liberare noi stessi dalla nostra povertà».
Qual è il vostro modo di pregare? Come e quanto pregate?
«Noi preghiamo e facciamo meditazione come tutte le altre religiose. Cominciamo la giornata con la Messa e la Santa Comunione e la terminiamo con l’adorazione al Santissimo Sacramento. Cerchiamo di vedere Cristo nelle apparenze del pane nel Santissimo Sacramento e lungo la giornata continuiamo a vederlo nelle apparenze dei corpi spezzati dei nostri poveri. Così noi cerchiamo di pregare attraverso il lavoro, compiendolo con Gesù, per Gesù e verso Gesù. Se riusciamo a fare questo, noi preghiamo tutto il giorno».
Cosa pensa dei giovani d’oggi? Possono avere speranza?
«I giovani sono i costruttori del domani. E molto dipende dalla loro vita di purezza, dalla loro unione con Dio e dall’amore dell’uno per l’altro».
Che cosa suggerisce perché siano costruttori di un mondo migliore?
«Conoscersi l’un l’altro, amarsi l’un l’altro. E l’amore è guida al servizio».
A quale servizio?
«Dimenticare se stessi. È ciò che la gioventù d’oggi ricerca come una sfida. L’altro giorno a New York una ragazza giovanissima, di istruzione elevata e molto ricca, è venuta da noi ad Harlem, con la macchina, e mi ha detto: “Ho dato tutto ai poveri e sono venuta per seguire Cristo”».
Lei incontra ancora qualcuno che fa questo? Non sembra che Gesù nel Vangelo abbia avuto molto successo col giovane ricco…
«Ma Lui riscuote successo ogni giorno… Una sera quand’ero a Londra, la polizia mi chiamò per telefono dicendo: “C’è una donna sulla strada, molto ubriaca, che chiede di Madre Teresa”. Siamo andate a prenderla con una macchina e mentre ritornavamo mi disse: “Madre Teresa, Gesù Cristo cambiò l’acqua in vino per darci da bere”. Era molto sbronza. C’è qualcosa di bello in questa gente. In Australia, abbiamo una casa per alcolizzati; un uomo ha rovinato gli occhi di un altro e io mandai la polizia che gli chiese: “Chi è stato?”. E quest’uomo andava dicendo ogni genere di bugie, ma non disse il nome. Quando la polizia se ne fu andata gli chiesi il perché; e lui mi rispose: “La sua sofferenza non libererà me dalla mia sofferenza”. Questa è grandezza d’animo, grande amore».
Com’è possibile per chi ha famiglia dedicarsi completamente ai poveri? È necessario abbandonare tutto?
«Non è necessario che tutti facciano ciò che facciamo noi: Cristo deve essere dato a tutti e noi non diamo Cristo ai più ricchi dei ricchi. Per poter fare questo è necessario che voi, nella vostra posizione, nella vostra vocazione, nell’ambiente in cui vivete, date Cristo alla gente. E quello che voi fate noi non possiamo farlo, e quello che noi facciamo voi non potete farlo. Ma noi insieme siamo annunciatori del Regno di Dio».
Madre Teresa da dove può iniziare un cambiamento radicale della società?
«Il cambiamento deve venire dalle famiglie, dalla propria casa. Da questa casa e da questa famiglia noi avremo buoni preti e buone religiose. La famiglia che prega sta insieme».
Lei prima ha detto che bisogna vedere Dio in noi per poi poterlo vederle nei poveri: vuol dire che bisogna essere per forza cristiani per fare del bene?
«In India, abbiamo molti indù, musulmani e buddhisti che ci aiutano nel nostro lavoro. Lo stesso tempio, dove noi abbiamo la casa per i moribondi, appartiene alla dea Kalì e a questo tempio noi abbiamo portato più di 27 mila persone raccolte dalla strada. In ventun anni, circa 13 mila sono morti serenamente in Dio».
In conclusione, che cosa vuole dire Madre Teresa a Milano?
«Voi siete un popolo molto grande, perché da questa regione abbiamo avuto Papa Giovanni e Papa Paolo. Di quest’ultimo voi dovete sempre più diventare la consolazione e la gioia, portando la preghiera nelle vostre famiglie, la Messa, la comunione, con un duro lavoro per le vostre famiglie. Questo sarà il più grande dono che potete fare alla Chiesa e sarà d’esempio per le altre città in Italia e nel mondo».