Da dieci anni, in Sicilia, esiste un’esperienza di volontariato all’estero che coinvolge ragazzi che hanno avuto problemi con la giustizia. Per far sperimentare loro altri modi di vivere
In missione in Africa non ci vanno solo i “bravi” ragazzi. In Sicilia esiste da una decina d’anni un’esperienza di volontariato all’estero che coinvolge giovani sottoposti a procedimenti penali dell’area di Palermo e Trapani, nata grazie alla tenacia di un assistente sociale che ha azzardato nuovi percorsi educativi. A Marsala l’ufficio dei servizi sociali per i minorenni del ministero della Giustizia è un edificio nuovo e piuttosto spoglio all’interno in via Giovanni Falcone, nel quartiere popolare di Sappusi. Qui, per fronteggiare la dispersione scolastica, un’associazione locale, Arché, ha organizzato per tutto l’anno un doposcuola. A giugno, anche i bambini più “difficili” sono stati promossi. Come Francesco, 7 anni, che per strada in bicicletta va fiero della sua promozione in prima elementare: da grande, racconta, vuole fare il giudice.
Qui lavora anche Salvatore Inguì, 53 anni, da 25 assistente sociale del Dipartimento per la giustizia minorile. Appese alle pareti del suo ufficio ci sono le foto dei ragazzi che, a partire dal 2006, hanno partecipato ad esperienze di volontariato internazionali: dal Kosovo all’Etiopia, passando per Benin, Messico, Bosnia e Tunisia. Un viaggio all’anno, salvo imprevisti. Il prossimo dovrebbe essere in Ruanda, entro la fine del 2016. Tutte esperienze preparate con cura in collaborazione con missionari o con organizzazioni non governative che operano in questi Paesi, e autofinanziate grazie al contributo di privati, visto che il ministero non prevede finanziamenti per questo tipo di attività. «Fare il bene fa bene a chi lo fa»: così sintetizza la sua esperienza Andrea, 28 anni, che nel 2009 ha partecipato a una missione di due settimane in Benin e lo scorso maggio ha portato la propria testimonianza a Udine davanti a una platea di 600 ragazzi delle scuole su invito del “Premio Terzani”, che ogni anno dedica uno spazio al tema della legalità. «Proprio in questa occasione a un certo punto ha pronunciato quella frase: “Fare il bene fa bene a chi lo fa” – spiega Salvatore Inguì – ed è esattamente questo il senso dell’esperienza di volontariato all’estero che proponiamo ai ragazzi. In Benin la nostra missione era costruire un pollaio, una parete per le capre e un orto. Di certo là non avevano bisogno di noi per realizzare queste cose. Abbiamo piuttosto inteso il viaggio come momento educativo».
Il volontariato internazionale con ragazzi che stanno facendo un percorso di recupero necessita di qualche cautela: i gruppi sono piccoli, di cinque ragazzi al massimo. E la durata dell’esperienza non supera i dodici giorni. Anche la selezione dei partecipanti è attenta: devono esserci da parte dei ragazzi rispetto e fiducia nei confronti dell’educatore che li accompagna, ancora più essenziali quando ci si inserisce in contesti difficili. In Benin a facilitare l’esperienza di volontariato dei ragazzi di Marsala è stata l’associazione Aleimar di Melzo, che opera nel Paese africano da diversi anni.
«Nella capitale Cotonou siamo stati ospiti in un centro di suore» continua a raccontare Andrea. «Abbiamo visitato le case per i bambini orfani, un villaggio che sorge sulle palafitte in mezzo a una palude, il mercato dove i bambini lavorano o chiedono l’elemosina. Abbiamo cercato più che altro di condividere con le persone, di comunicare con loro. Alla sera con Salvatore si faceva gruppo per parlare di quello che avevamo visto durante la giornata». «Quello che mi ha colpito in Africa è che le persone trovano sempre il momento di gioire e di cantare, anche in mezzo alle difficoltà – continua Andrea –. Sono poveri eppure restano umili. Quando mi sono ritrovato con i bambini ammalati di Aids, che giocavano per strada con una palla fatta di stracci, mi sentivo teso. Eppure sono questi i momenti che ci hanno fatto crescere perché risvegliano una coscienza che ti porti dentro». In Sicilia cercano di andare avanti anche i progetti per aiutare i ragazzi già reclutati dalla mafia a cambiare strada. «In questi anni siamo andati avanti grazie a piccoli finanziamenti di donatori privati – spiega Inguì – . A livello istituzionale c’è difficoltà a comprendere il valore di questi percorsi, c’è chi vorrebbe che mi limitassi ai colloqui in ufficio. Invece io sono convinto che solo sperimentando la “seduzione del bene” i ragazzi possano allontanarsi dalla seduzione del male e questo è possibile solo facendone esperienza».
I riscontri positivi, d’altra parte, non mancano. Grazie a un piccolo finanziamento di Libera e di Fondazione Bnc (Banca nazionale delle comunicazioni) i ragazzi dell’area penale di Marsala quest’anno hanno potuto partecipare una volta al mese ad attività di formazione in Italia e Salvatore Inguì è stato invitatoItalia e Salvatore Inguì è stato invitato
più volte in Salvador e in Guatemala dall’Istituto italiano Latino Americano (Iila) per fare formazione a magistrati e operatori sociali, illustrando il suo modello di riabilitazione dei minori dell’area penale.
Nel frattempo, il viaggio dei ragazzi continua anche in Sicilia, dove l’Africa è ormai di casa. Trapani è la provincia con il maggior numero di minori non accompagnati, migranti arrivati con i barconi attraverso il Mediterraneo. Nei loro confronti scattano la procedura di protezione e l’inserimento nelle comunità d’accoglienza, che rischiano però di diventare “isole” avulse dalla realtà locale. Per questo, l’associazione Arché ha avviato il progetto “Contaminazioni”, nel quale sono coinvolti sia i ragazzi dell’area penale di Salvatore Inguì che i minori migranti di alcune comunità. I percorsi educativi seguono quattro filoni: legalità, solidarietà, ambiente e mondialità.
«Superata l’iniziale diffidenza reciproca, ci siamo resi conto che questi percorsi condivisi producono risultati inaspettati – afferma Inguì -. Si tratta sia di attività ricreative e sportive che di percorsi educativi, che passano sempre attraverso incontri con persone ed esperienze concrete. A noi interessa, in questa prima fase, che imparino a fare gruppo fra di loro; poi, se vorranno, faranno anche volontariato. Non si nasce “imparati”, per cui per loro è necessario fare un passo alla volta in un percorso di educazione alla solidarietà, all’altruismo, alla donazione. Facciamo sperimentare loro piccoli passi in avanti che li gratificano e li fanno crescere».