Dopo la barbara uccisione della sedicenne Lucía Pérez oggi le argentine scendono in piazza vestite di nero. E la mobilitazione contro il dramma diffusissimo dei femminicidi e degli abusi cresce in tutta l’America Latina
Ci sono notizie che scuotono come un terremoto. È il caso della morte di Lucía Pérez, argentina di 16 anni di Mar del Plata, violentata e torturata fino alla morte la settimana scorsa. Un fiore reciso in modo atroce nella più ridente cittá turista del Paese. Ma la lista é ben più lunga e s’ingrossa con le storie di violenza quotidiana, da quelle commesse nel segreto delle pareti domestiche a quelle che finiscono sotto i riflettori della stampa. Uno dei casi più emblematici è quello di Marita Verón una bella e giovane mamma di Tucumán dissoltasi nel nulla, quasi sicuramente eliminata da coloro che controllano la rete di donne da mandare al macero dei locali notturni trasformati in bordelli, ricettacolo di droga e degradazione. L’impunità con la quale agiscono sequestratori, sfruttatori, proprietari di locali e hotel, trafficanti di droga, polizziotti, giudici e funzionari corrotti provoca un profondo senso di impotenza per delitti che avvengono sotto gli occhi di tutti.
Ed è contro tale impotenza e contro la violenza che il movimento #NiUnaMenos (non una meno, in spagnolo) ha convocato per oggi in Argentina uno sciopero delle donne, siano o no lavoratrici. L’invito è non solo a incrociare le braccia ma – come nel giugno dello scorso anno – a scendere in piazza per chiedere giustizia di fronte al doloroso stillicidio del quale sono vittima. Non a caso, il codice penale argentino come quello di altri Paesi ha accolto il reato del femminicidio.
Anche le centrali sindacali argentine hanno proclamato la loro adesione allo sciopero, che sicuramente vedrà l’adesione di tanti uomini. L’invito è a marciare per il centro delle città usando indumenti neri, in segno di lutto. «Non è una presenza solo testimoniale… Non è un gesto alla moda né questione di vestirsi in un modo. Non è un atto di buona coscienza. È un grido lacerante e anche un atto di lotta», spiega la sociologa e ricercatrice dell’ Università di Buenos Aires, María Pía López, membro del Collettivo #NiUnaMenos.
Intanto si annunciano iniziative del genere anche in altri Paesi dell’America latina: Messico, Uruguay, Cile. Anche nel resto della regione infatti si registra una pericolosa escalation dei casi di violenza contro le donne. Quello del Messico è forse il caso piú grave: il 63% delle donne oltre i 15 anni ha sofferto una qualche forma di abuso o violenza e ogni giorno 6 vengono assassinate. In questi giorni, in Cile, rischia l’ergastolo il patrigno di una bambina di appena 9 anni, strangolata e poi smembrata nel giardino di casa. A maggio a Rio de Janeiro un gruppo di 30 uomini stuprò una ragazza tossicodipendente. L’episodio venne filmato e fatto circolare sui social network. Ogni 11 minuti in Brasile si commette uno stupro, il 70% delle vittime sono adolescenti o bambini, nel 15% dei casi gli aggressori sono due o anche più. A febbraio due giovani turiste argentine vennero attaccate sessualmente e poi assassinate in Ecuador. I tre colpevoli hanno ricevuto una condanna a 40 anni. Il comune di Quito, la capitale, ha varato il programma “Cuéntame” (dimmelo), con attivisti che durante il percorso dei bus pubblici spiegano con un altoparlante come comportasi nel caso che di soffrire molestie sessuali. Varie fermate sono state dotate di cabine dove le vittime potranno riceve aiuto psicologico e giuridico nel caso vogliano presentare una denuncia. I 1800 autisti del sistema di trasporto urbano hanno ricevuto istruzioni per bloccare gli aggressori.
Per la consulente della ong Plan International, Emma Puig, gli episodi citati indicano che la violenza contro le donne é ormai “insopportabile”. All’agenzia spagnola EFE Puig ha spiegato che esiste una “mancanza di considerazione” delle bambine e delle donne giovani i cui corpi sono considerati “spazi che chiunque può vulnerare”. Presente in 71 Paesi, Plan International segnala il preoccupante incremento di casi spesso legati a povertá, esclusione ed impunitá. Nel dossier “Raccontando l’invisibile”, la ong suggerisce la necessitá di politiche pubbliche e segnala che “pochi Stati rilevano il numero di bambine che lascia la scuola per un matrimonio o una gestazione precoce, o per violenza sessuale”.
Il “machismo” é certamente uno dei primi fattori che preparano alla violenza e va sradicato. Per l’antropologa dell’Universitá di Mar del Plata, María Marta Mainetti, é un lavoro a lungo termine nel quale “la famiglia e la scuola sono essenziali, perché sono lo strumento piú importante per ottenere una trasformazione culturale e per trasmettere valori”, riccorendo anche all’aiuto dei media per trasmettere ció che si considera positivo.