Capitale americana dell’auto, Detroit è stata colpita pesantemente dalla crisi. Ma anche ora che la città si sta riprendendo, restano vaste aree di povertà e marginalità. Di alcune si occupa la comunità Pime
Arrivano uno alla volta, oppure in compagnia di qualche amico o amica, a partire dalle undici del mattino. Ordinati, silenziosi, persino raccolti come per un rito che si ripete di frequente e sempre uguale: la segnalazione del nome, il cartoncino giallo col numero, la consumazione del pasto. Poi il ritorno alla propria casa o a un precario rifugio chissà dove. Sono i poveri di Detroit, cinque milioni di abitanti, principale città del Michigan, sul versante americano dei Grandi Laghi. Tre volte la settimana, la parrocchia di All Saints, nella zona a sud-ovest della città, apre loro le porte del salone sotto la chiesa per un pasto caldo ed eventualmente un controllo medico. Il tutto in collaborazione con l’agenzia diocesana Catholic Charity of South East Michigan.«Accogliamo circa 120 persone ogni volta – dice il coordinatore David Allen -. Sono afro-americani, ispanici, ma anche numerosi bianchi, anziani, giovani, adulti, a volte persino bambini».
In una delle città più povere degli Stati Uniti i problemi si assommano uno all’altro e aggravano la condizione delle persone e delle comunità. Diversi ospiti della mensa di All Saints paradossalmente sono obesi. Lo sguardo assente. Forse un passato di droga. Difficoltà quindi a farsi assumere da qualsiasi azienda per qualsiasi lavoro. Lavoro che comunque scarseggia. L’industria dell’auto a Detroit ha superato la crisi ed è tornata ai livelli precedenti il 2009. Ma altre attività manifatturiere – e di questo la gente si lamenta molto – sono andate all’estero dove i costi di produzione sono inferiori. Altri impieghi come nell’edilizia e nella manutenzione dei giardini sono stagionali. Anche perché d’inverno la temperatura scende a 20 gradi sotto lo zero. Molti ispanici, soprattutto messicani, potrebbero fare gli autisti, ma sono immigrati illegali, non hanno documenti e dunque non possono mettersi sulle strade.
D’altra parte, l’area stessa della parrocchia di All Saints è un simbolo del degrado a cui è andata incontro negli ultimi decenni la cintura urbana di Detroit, quella che si colloca tra il centro città, ora vivace e in ripresa, e i quartieri residenziali che si estendono verso l’interno dello Stato del Michigan, dove si è trasferita la classe media dopo l’arrivo degli afro-americani in città a partire dagli anni Sessanta-Settanta.
La pubblicazione realizzata per il centenario della parrocchia nel 1996 narra di un passato tipicamente americano: immigrati cattolici tedeschi, ungheresi, italiani; i bambini alla scuola parrocchiale tenuta dalle suore; la compagnia teatrale; la squadra di basketball. Ma anche il parroco Henry Sullivan che resta un paio di decenni e lascia un’impronta indelebile. Poi lo shock dell’entrata in guerra dell’America all’inizio del 1942 e la partenza dei giovani per il fronte, mentre le fabbriche si trasformano per sostenere lo sforzo bellico. Una comunità comunque compatta e con un forte senso di appartenenza, ma di cui rimangono ora solo poche decine di persone, che si riuniscono per la Messa della domenica alle nove e trenta. Pochissimi abitano ancora in zona. Altri vi tornano per nostalgia e attaccamento agli amici e al posto. Capelli bianchi e gente col bastone. I giovani si inseriscono altrove, là dove vivono o studiano. Schiacciata tra un grande centro di distribuzione di frutta e verdura, davanti a cui stazionano camion enormi, e una ditta di spedizione di container, nello squallore della periferia urbana, All Saints è diventata a tutti gli effetti terra di missione. La diocesi avrebbe chiuso da anni la parrocchia, come già la scuola, in una zona abbandonata ormai dai residenti originari. Il Pime, però – che da sempre ha la sua sede principale a Detroit – si è fatto avanti una decina di anni fa, quando la chiesa cominciava a essere frequentata da immigrati latinoamericani. «La comunità ispanica è nata e cresciuta con padre Christopher Snyder – dice l’attuale parroco padre Giancarlo Ghezzi -; è stato qui circa sei anni. Poi è partito per l’Amazzonia brasiliana». Sulla porta della chiesa però Curt Joslin, un signore corpulento che poi animerà la Messa, dice che il merito va attribuito anche a padre Giancarlo: «Se alla partenza di padre Chris lui non si fosse reso disponibile, ci avrebbero comunque chiusi. E il pericolo non è ancora scongiurato. La diocesi non può sostenere parrocchie con un passivo economico troppo alto».
Padre Giancarlo aggiunge che «nella pastorale degli ispanici applichiamo un metodo flessibile; hanno le loro tradizioni che cerchiamo di accogliere il più possibile; fino a due anni fa, per la preparazione alla prima comunione e alla cresima, chiedevamo solo un anno invece di due, come avveniva in altre parrocchie. Ora ci siamo adeguati al curriculum del vicariato. La gente è povera, in gran parte sono immigrati»
In effetti, sono loro a dare vita alla comunità. La Messa di mezzogiorno è in spagnolo. La differenza rispetto a quella in inglese – oltre al numero dei fedeli che è di quattro volte superiore -, è che si vedono le famiglie. Tutte le età sono rappresentate. Dura un’ora e mezzo. E la gioia di incontrarsi e pregare insieme è evidente. È una piccola luce nella foschia della periferia la piccola parrocchia di All Saints. Non grandi numeri, né grandi liturgie, né il desiderio particolare di alcun prete di venire a vivere qui. Solo carità spicciola, accoglienza, la porta aperta ai poveri. Oltre alla mensa, ogni mese anche un pacco viveri viene distribuito a circa cinquecento famiglie soprattutto di immigrati. A Detroit, il Pime si occupa essenzialmente di animazione missionaria e raccolta fondi per le missioni. Ma nonostante il numero esiguo dei missionari e l’età avanzata, l’Istituto riesce, con questa presenza e questo impegno, a dare un segno di azione missionaria nella città: uno dei tanti ambienti di “missione”, che si presentano ormai anche fuori dalla porta di casa per missionari abituati per secoli a portare il Vangelo molto più lontano.