La beatificazione di 38 martiri albanesi uccisi tra il 1945 e il 1974 dal regime comunista ha messo in luce la forza di una Chiesa che ha sopportato cinquant’anni di oppressione e persecuzione
L’Albania si può definire una terra di frontiera, proprio per la sua collocazione geografica e storica. La linea immaginaria tracciata dall’imperatore Teodosio nel 393 d.C., che divise l’Impero Romano, segnerà la separazione di due mondi diversi: l’uno prevalentemente cattolico e posto sotto l’influenza della cultura latino-germanica e l’altro a larga maggioranza ortodossa e musulmana. Questa terra di frontiera fu invasa prima dai popoli slavi, poi per secoli dagli ottomani e in seguito dagli italiani. L’ultima oppressione si è generata al suo interno: Enver Hoxha dopo la fine della Seconda guerra mondiale ha suscitato un movimento nazional-comunista che ha soggiogato la vita albanese per più di quarant’anni.
La sindrome dell’’assedio, che può avere delle radici nella realtà geopolitica dell’Albania, acquistò caratteri ossessivi e contribuì a rendere il regime comunista sempre più intransigente. Furono aboliti i diritti civili e politici, azzerata la libertà di parola, di stampa, di associazione, di religione. La presenza nel Nord del Paese di un movimento clandestino di opposizione, a maggioranza cattolico, costituì spesso il pretesto per accusare i cattolici. Il cattolicesimo, infatti, benché minoritario, aveva dato una forte impronta all’identità nazionale albanese.
Tra le prime cose che il governo comunista fece contro la Chiesa fu, nel 1945, il rifiuto d’ingresso al Nunzio apostolico, monsignor Leone G.B. Nigris, di ritorno da Roma dove aveva incontrato il Papa; monsignor Gasper Thaçi e monsignor Vinçenc Prendushi, frati minori, furono chiamati da Enver Hoxha per cercare una collaborazione a condizione che si staccassero dalla Santa Sede. Tutti e due rifiutarono coraggiosamente la proposta. Dopo la morte di monsignor Gasper Thaçi, Hoxha fece un altro tentativo rinnovando la proposta a monsignor Frano Gjini, ma anche la sua risposta fu netta: «Io non separerò mai il mio gregge dalla Santa Sede».
Dopo i tentativi falliti da parte del regime di convincere i vescovi a rompere con la Santa Sede e a formare una Chiesa nazionale, questi vennero imprigionati e in seguito uccisi.
Il 25 Marzo 1945 venne fucilato a Scutari don Ndre Zadeja, parroco di Sheldija, a causa di una sua omelia che fu davvero profetica. «Hanno ucciso don Ndre!» si passavano parola. Scutari era come scossa dalle fondamenta. «Gli albanesi annientano gli albanesi, i migliori!». La tragedia del “poeta della tenerezza”, don Ndre, era iniziata fin dal 16 agosto 1944 durante la celebrazione eucaristica, nella chiesa di Shiroka, nel giorno di san Rocco, quando rivolgendosi ai fedeli disse: «Due parole devo dire oggi a voi, specialmente a voi, giovani; una nuvola nera, dall’ideologia rossa, sta per piombare sulle vostre teste. La sua intenzione è quella di scaricarsi su di voi, allora non potrete fare niente contro di essa, solo sopportarla con tutti i suoi mali, e tra questi la negazione di Dio». I comunisti – presenti in chiesa in incognito – non avrebbero mai dimenticato queste parole.
Anche l’uccisione di don Ndre Zadeja a Scutari, come quella di don Lazer Shentoja a Tirana, furono un messaggio chiaro per tutto il clero che da quel momento la Chiesa stava entrando nel giardino del Getsemani. Molti altri sacerdoti, religiosi, religiose, tra cui Maria Tuci novizia Stimmatina – unica rappresentante al femminile del martirio albanese -, e fedeli laici, tre dei quali fanno parte del gruppo dei 38 martiri, furono arrestati, torturati, condannati e imprigionati.
La vita religiosa fu sottoposta a durissime pressioni sino alla realizzazione dell’ateismo ufficiale con il divieto, nel 1967, di ogni manifestazione di culto. Da allora i gerarchi del partito unico si compiacevano di affermare che l’Albania fosse il primo Stato ateo del mondo. Nella Costituzione approvata nel 1976 si legge: «Lo Stato non riconosce alcuna religione ed appoggia e svolge la propaganda ateistica al fine di radicare negli uomini la concezione materialistico-scientifica del mondo». Il poeta albanese Vaso Pasha infatti si esprimerà così: «La religione degli albanesi è l’albanesismo».
Come tutti i dittatori comunisti, Hoxha confisca moschee, chiese, monasteri, sinagoghe e li trasforma in musei, uffici pubblici, officine, magazzini, stalle, cinema. Proibisce ai genitori di dare ai figli nomi di santi e di impartire l’educazione religiosa. Cancella i nomi dei santi da villaggi e strade, in un Paese che è cristiano dal IV secolo, dove la Chiesa ha origini apostoliche. La realtà che ci troviamo a vivere noi oggi è di una Chiesa che ha ripreso il cammino: al Nord con queste radici forti, al Sud con piccoli germogli. Lo stesso fonte battesimale che ha generato la Chiesa del martirio al Nord dell’Albania, e ha donato la forza fino al dono della vita a questi testimoni di cui celebreremo la beatificazione il 5 novembre a Scutari, ha suscitato la Chiesa del catecumenato al Sud, dando vita a nuovi cristiani.