L’11 dicembre, insieme al missionario trentino Mario Borzaga, verrà beatificato anche il suo catechista Paolo Thoj Xyooj, uccisi nel 1960
Per quasi trecento anni, fino al 1881, i missionari avevano provato invano a superare le barriere montuose e culturali del Laos per portarvi il Vangelo. Ora la piccola ma vivace Chiesa laotiana si prepara a festeggiare l’11 dicembre la beatificazione del missionario trentino padre Mario Borzaga, oblato di Maria Immacolata, giunto in Laos nel 1957 e ucciso nel 1960 dai guerriglieri del movimento politico Pathet Lao.
Padre Mario non sarà, però, il solo ad essere indicato ai cristiani laotiani per il suo martirio accettato nella logica del Vangelo: accanto a lui – con un accostamento non solo simbolico – verrà beatificato anche il suo primo collaboratore, il giovane catechista Paolo Thoj Xyooj, che lo accompagnava in quella missione rischiosa. E con loro saliranno alla gloria degli altari anche altri 15 martiri caduti in Laos per testimoniare la fede in Cristo, fra i quali cinque oblati francesi, uccisi fra il 1961 e il 1969. Di padre Mario e del catechista Paolo non sono stati più ritrovati i corpi. Secondo alcuni testimoni, ascoltati solo dopo 40 anni, i guerriglieri provenienti dal Vietnam alla conquista della terra laotiana li avrebbero sepolti in una fossa – come chicchi di grano irrorati dal sangue – nelle campagne vicino al villaggio di Phoua Zua.
L’attuale governo comunista, erede dell’ideologia dei Pathet Lao, preferisce non dare enfasi al rito locale della beatificazione, ma l’iter della causa ha ricostruito il contesto d’oppressione in cui i missionari si trovavano a servire i poveri e gli ammalati. «È un fatto che è più facile mettersi nelle mani di Dio, quando si è in una casa ben riparata e agiata, che quando si deve abitare nella foresta, senza porte né finestre», scrive padre Mario dalla prima missione di Pak Kadine, in riva al Mekong, 200 chilometri a est di Vientiane, prima di partire verso lo sperduto villaggio del nord, Kiucatian. «È giunta l’ora di andare – si legge in un diario dell’estate 1958 – di andare solo con Dio, di andare solo per le strade che avevo sognato… verso i Figli di Dio… non sarà sufficiente dare una medicina; dovrai dare la vita; la vita sublime che sei stato chiamato a vivere perché gli altri non muoiano». Già alla vigilia della consacrazione religiosa negli oblati annotava: «Siamo sempre pronti, Signore, in ogni tempo, ad essere trucidati, considerati come pecore da macello».
Ma la fedeltà al Vangelo fino al dono della vita fu assunta e testimoniata anche dal giovane Thoj Xyooj che aveva chiesto il battesimo a 16 anni col nome di Paolo, conquistato dalla predicazione e dall’esempio dei missionari a Kiucatian. Per la sua conoscenza della lingua dell’etnia hmong e per il suo ardore venne scelto come catechista: «Senza di lui non saremmo diventati cristiani», testimoniarono alla morte alcuni membri della comunità che avevano trovato in lui un promettente leader. La stima reciproca e l’amicizia con padre Mario lo spinsero ad accettare subito la missione del 1960. «Perché uccidete il padre?», fu la sua ultima richiesta ai guerriglieri, accompagnata da un’implorazione di sfida: «Se liberate me, liberate anche lui. Se uccidete il padre, uccidete anche me».
Lucia Borzaga, sorella di padre Mario, non potrà essere a Vientiane l’11 dicembre: «Ringrazio Dio che mi ha concesso di vedere riconosciuto dalla Chiesa che la pur breve vita di Mario è stata straordinaria – ha dichiarato al settimanale diocesano Vita Trentina, appena appresa la notizia della beatificazione -. Ma sono felice anche per il suo fedele catechista Paolo e per la Chiesa del Laos, da sempre martire silenziosa e lontana dai riflettori, in un Paese dove ancora oggi ci sono limiti evidenti alla pratica di culto e alla libertà religiosa».
Più giovane di quattro anni di padre Mario, Lucia ne continua a dare testimonianza diretta attraverso l’Associazione Amici di padre Mario, sorta nella parrocchia cittadina di Sant’Antonio, dove era nato nel 1932 e dove la casa con il suo crocifisso e i suoi scritti è visitata dai gruppi della catechesi.
«Giacché la vita si vive una volta sola, vale la pena viverla con un integralismo, con un energico assolutismo che elimina ogni cosa che sa di vano, di fugace, di transitorio», scriveva nel luglio 1955, ancora seminarista, in una lettera alla sorella Lucia. Dalla prima Messa del 28 aprile 1957 nel Duomo di Trento e dalla partenza tre mesi dopo per il Laos, le tappe della sua vita sono scandite negli appunti quasi quotidiani raccolti nel volume postumo Diario di un uomo felice.
Amava scrivere e scriveva con amore, padre Mario. Una delle foto più note lo vede sui tasti di una macchina da scrivere in terra di missione – era il corrispondente per la rivista degli oblati – e oggi le sue lettere offrono anche un itinerario dell’anima, arricchito da un originale testo di Via Crucis. «È un missionario sui generis – scrive a proposito il postulatore padre Angelo Pelis – che forse registra più volentieri le sue delusioni e i fallimenti di operaio della messe che le cose mirabili compiute per il Signore. Ma tra le righe, tra le battute spiritose che si susseguono a ritmo serrato, trovi “perle” di una preziosità tale da paragonare padre Mario a un vero mistico».
È il quotidiano della missione, che alterna visite agli ammalati ed urgenti opere manuali alla pazienza dei tempi lunghi, ad esempio per imparare la lingua locale con cui formare i catechisti. Pur avendo avuto una formazione preconciliare, padre Mario interpreta il ruolo del missionario con una consapevolezza che sembra anticipare il Vaticano II. Vivendo in modo radicale la sequela di Cristo e superando la fatica in certi periodi di “notti interiori”, padre Mario cerca di conoscere e accettare la cultura locale annunciando la gioia del Vangelo, senza puntare ad un mero proselitismo.
Padre Mario lasciò alcune consegne prima di partire verso quella che doveva essere l’ultima trasferta prima della stagione delle grandi piogge: portare il riso ad un pagano, fare il catechismo ai bambini, dare un’occhiata ai seminaristi… A qualche anno di distanza, come hanno testimoniato i vescovi del Laos in una visita a Trento, quelle consegne hanno dato buoni risultati e consentono al Vangelo di potersi diffondere in quelle regioni dell’Estremo Oriente, tanto che a Phnom Penh nell’agosto scorso si è celebrata la Giornata Mondiale della Gioventù con i giovani di Laos e Cambogia in concomitanza con quella di Cracovia. «Si vedono i segni della rinascita di quelle popolazioni martoriate» osserva l’arcivescovo emerito di Trento mons. Luigi Bressan, che conobbe da vicino padre Mario e fu poi nunzio in Oriente. Assieme alla Chiesa trentina e alla famiglia degli oblati una festa di ringraziamento si terrà a Trento in aprile nel ricordo dei primi due martiri del Laos, amici per il Vangelo.