Parla da Bangui la deputata Emilie Beatrice Epaye, protagonista del processo di riconciliazione e ricostruzione della Repubblica Centrafricana. Un Paese che ha ancora bisogno di cure costanti per guarire le ferite delle guerra
«Siamo passati da una grave crisi, un periodo di transizione e ora stiamo entrando nella legalità costituzionale». Emilie Beatrice Epaye, deputata della regione di Marcounda, situata nel nord-ovest della Repubblica centrafricana, riassume così gli ultimi quattro anni di violenza nel Paese. Veterana della politica, Epaye parla con un tono di voce morbido ma determinato. Di conflitti ne ha visti e combattuti tanti nei suoi sessant’anni di vita. Per questo nel marzo del 2015 si è recata negli Stati Uniti per ricevere il “Premio internazionale per le donne di coraggio” promosso dal dipartimento di Stato americano. «Dopo aver eletto un presidente a marzo e un parlamento – continua la deputata centrafricana seduta alla scrivania del suo ufficio nella capitale Bangui -, è arrivato il momento di mettere in piedi le altre istituzioni. Dobbiamo infatti pensare all’avvenire per consolidare al più presto la pace».
Tali dichiarazioni facevano parte anche del messaggio che Epaye ha portato alla conferenza di Bruxelles dello scorso novembre, dove i Paesi donatori hanno promesso di investire 2,2 miliardi di dollari nella ricostruzione del Centrafrica. «Tali cifre, per il momento, rappresentano solo degli annunci – afferma la deputata, inviata in Belgio con altri tre colleghi dell’Assemblea nazionale in qualità di Presidente della Commissione per gli affari esteri. – ora inizia la fase d’impegno affinché si possa sfruttare al meglio tale denaro. Stiamo affrontando un delicato “ri-sollevamento” del Centrafrica da un punto di vista socio-economico, pacifico, di disarmo e riconciliazione nazionale – spiega Epaye, che dal 2005 al 2011 è stata ministra del Commercio e dell’Industria sotto l’ex presidente, Francois Bozizé -. È quindi il mio compito di deputata controllare che questi soldi siano usati dal governo in modo democratico e trasparente».
A margine della conferenza di Bruxelles, Epaye si è anche detta felice di aver incontrato e «dialogato molto» con la nostra europarlamentare Cecile Kyenge, considerata da lei «una donna molto amata dai deputati europei». Ed è proprio grazie all’Unione Europea che nel luglio del 2014, poco più di un anno dopo il golpe in Centrafrica da parte dei ribelli della Selekà, Bruxelles ha lanciato un Fondo fiduciario chiamato “Bekou”, che nella lingua locale, sango, significa “speranza”. Nella crisi centrafricana, infatti, è stato relativamente grande anche il contributo dell’Italia che ha aperto lo scorso aprile una nuova sede della Cooperazione italiana a Bangui. «Ci tengo innanzitutto a ringraziare la comunità internazionale per il suo sostegno – afferma Beatrice Epaye con un sorriso che si trasforma poco dopo in uno sguardo serio e molto intenso -. Il Paese è però come un malato che ha continuamente bisogno di cure prima di essere totalmente guarito. Per questo, è necessario che l’attenzione internazionale rimanga viva nei confronti del Centrafrica».
Le violenze che hanno colpito il cosiddetto “cuore dell’Africa”, avvenute spesso tra differenti comunità religiose o etniche, continuano a minacciare il processo di pace. Nonostante le difficoltà politiche e sociali, la Repubblica centrafricana ha un territorio ricchissimo di oro, diamanti, petrolio, legname, e altre preziose risorse naturali. Una moltitudine di gruppi armati, discretamente appoggiati da forze interne ed esterne al Paese, continua quindi a lottare per esercitare il controllo sul territorio e non ha alcuna intenzione di voler deporre le armi.
«A Marcounda – conclude la deputata Epaye, mentre si prepara a tornare nella sua regione natale per incontrare i ribelli – ci sono molte milizie che per quattro anni hanno distrutto scuole e ospedali, impedendo quindi ai bambini di essere istruiti e alle madri di partorire. Il vescovo della diocesi di Bossangoa ha quindi organizzato una tavola rotonda a cui parteciperò per convincere i gruppi armati a interrompere le violenze per contribuire alla riconciliazione nazionale».