BAMBARAM
Con il loro lavoro silenzioso e umile mostrano il cammino per una convivenza più umana
“Bambaram” è un termine criolo. Indica un tessuto speciale, preparato alla nascita del primo figlio, che viene usato dalle donne in Guinea Bissau per portare i bambini sulla schiena. Questa fascia ha anche un valore sacro e simbolico: protegge e accoglie, custodisce e difende. Non può essere bruciato o gettato via, ma va custodito perché ha effetti sacri sul figlio anche da grande.
“Bambaram” per me descrive bene la donna come “portatrice”, di vita, di futuro e di pace. È quello che sono le donne africane, dotate di una forza e di una resistenza uniche. Se l’Africa vive e rimane in piedi è grazie al loro lavoro nascosto, ma tenace e forte. Le donne sono le fondamenta dell’Africa. Sono capaci di relazione. Così come tessono i vari fili per ottenere un tessuto uniforme e ricco di colori, così sanno intrecciare rapporti, e anche ricostruirli quando è il caso: nella famiglia, nel villaggio e nel Paese.
Purtroppo questa grande capacità non è molto valorizzata. Ma non possiamo dimenticare che il Premio Nobel per la Pace 2011 ha incoronato tre donne, due delle quali (oltre alla yemenita Tawakkul Karman) africane: la presidente liberiana Johnson Sirleaf e la sua concittadina Leymah Gbowee, militante pacifista.
Diversi governi africani hanno presenze femminili. In situazioni difficili e di povertà le donne mantengono un ruolo di leadership nelle comunità, anche se hanno un fardello maggiore: scarsa istruzione, forti disuguaglianze, violenze sessuali. Sono abituate, da sempre, a fare i conti con la quotidianità della vita e con la sfida della sopravvivenza, che affrontano con dignità e coraggio.
Fra essere donna ed essere mamma esiste un forte legame in Africa. Il vincolo con i figli è forte, di pelle: fino ai due anni il bimbo è portato sulla schiena, partecipa della vita della mamma in tutte le sue dimensioni, di festa, di dolore, di lavoro. È un legame che dà sicurezza. Nel momento in cui il bambino si slega dalla mamma è in grado di essere indipendente. I valori gli sono stati trasmessi attraverso l’affetto, il contatto con il corpo: la capacità di soffrire, la tenacia e la resistenza, ma ancor di più la capacità di sognare un mondo migliore.
Nell’Africa dei conflitti, la donna è portatrice di pace. Tuttavia, se è indiscutibile il progresso che le donne africane hanno compiuto nella vita politica, economica e culturale a tutti i livelli, ancora oggi tutto ciò non rappresenta che una goccia nell’oceano della valorizzazione delle loro capacità e del loro impegno. In Guinea Bissau, durante la lotta di liberazione per l’indipendenza, le donne erano le più determinate sul campo di battaglia. Ma anche dopo il conflitto hanno sempre lavorato e lottato per la pace.
Le sue mani invisibili costruiscono l’Africa, mettono le basi della società. Il suo lavoro è lento, ma fruttuoso. La sua forza è doppiamente produttiva perché è produttrice e riproduttrice. Sono proprio le donne le prime responsabili del cambiamento. L’Africa ha bisogno di guardare avanti perché è un grande continente con enormi potenzialità. Purtroppo non c’è ancora parità. Eppure le donne africane con il loro lavoro nascosto, silenzioso e umile possono mostrare un nuovo cammino per ricostruire la convivenza su basi più giuste e umane