Presentato in Vaticano il film «I ventisei martiri del Giappone», realizzato dal regista regista giapponese Tomiyasu Ikeda e scoperto, quasi per caso, nei fondi cinematografici salesiani
Nella memoria liturgica dei martiri giapponesi Paolo Miki e compagni, lunedì 6 febbraio, presso la filmoteca vaticana (sala Cardinal Deskur, Palazzo San Carlo, Vaticano) è stato presentato il film «I ventisei martiri del Giappone». Scoperto, quasi per caso, nei fondi cinematografici salesiani, il film fu girato nel 1931 dal regista giapponese Tomiyasu Ikeda. Restaurato e digitalizzato, è ora considerato dai critici “l’antenato di Silence”.
La pellicola racconta in 66 minuti la vicenda di 6 francescani, 3 gesuiti europei e 17 terziari giapponesi, tra i quali quattro bambini, martirizzati a Nagasaki il 5 febbraio 1597. Nonostante la modestia dei mezzi a disposizione – è evidente che la macchina da presa è sempre fissa – il regista offre un’ambientazione grandiosa con sequenze documentarie che introducono lo spettatore ad una cultura diversa da quella occidentale, ma non meno progredita e maestosa. Gli abiti dei personaggi, le movenze e le scenografie lasciano infatti trasparire una cultura che all’epoca del lancio del film era per lo più sconosciuta in occidente.
Dalle immagini appare evidente la presenza dei francescani, meno quella dei gesuiti. Il regista sembra insistere particolarmente sulla presenza tra i ventisei martiri di un bambino, spesso inquadrato, dalla telecamera, la cui fede traspare continuamente attraverso il sorriso del suo volto. Pur essendo in bianco e nero, e pur essendo, secondo le possibilità dell’epoca, un ‘cinema muto’, il film ripropone con insistenza ed in modo eloquente la possibilità di una fede che anche ad un passo dal martirio può essere vissuta con gioia. Le frequenti inquadrature di volti sorridenti, infatti, non lasciano dubbi allo spettatore: i 26 martiri giapponesi sono andati incontro alla morte cantando. La tradizione racconta che il piccolo Antonio, così si chiamava il bambino, vicinissimo alla morte abbia intonato il salmo “Lodate fanciulli il Signore, lodatelo” e con lui altri due compagni ne seguivano le note.
Le ragioni di tanta persecuzione verso i cristiani sono taciute ma vanno rintracciate nel timore delle autorità giapponesi che i missionari potessero essere l’avanguardia del colonialismo portoghese. La pellicola però non si occupa di questioni politiche, vuole piuttosto esaltare da una parte la cultura giapponese e, dall’altra, l’ardore, il coraggio, la fede di questi 26 testimoni di Cristo. Le scene culminanti sono quelle finali quando lungo la spiaggia vengono disposte le 26 croci, pronte per i martiri. I crocifissi moriranno trafitti dalle lance dei loro carnefici. La presenza presso la croce di una madre crea un inteso parallelismo con la crocifissione di Gesù. Questo particolare unitamente all’atmosfera complessiva creata dal regista, offrono il senso di un martirio vissuto come identificazione al Cristo crocifisso. E subito, abilmente, il regista passa dalla scena della crocifissione a quella della beatificazione e santificazione avvenuta a Roma circa tre secoli dopo i fatti, l’8 giugno 1862, durante il pontificato di Pio XI. Si vuole così indicare il destino di gloria che attende i martiri e tutti coloro che muoiono per Cristo.
I fotogrammi finali raccontano delle missioni salesiane di don Bosco diffuse allora, siamo negli anni trenta, in molti Paesi e con molti missionari ed invitano al sostegno economico.
La pellicola tradisce un certo intento apolegetico, forse un’eccessiva fretta nel far coincidere l’esperienza del martirio con quella della gioia. Questo mi pare il dettaglio non trascurabile che distingue questa pellicola dal moderno “Silence” di Scorsese, molto più incline a presentare l’aspetto drammatico e doloroso del martirio cristiano.
Il merito dell’opera di restauro è notevole perché svela e letteralmente porta alla luce uno degli innumerevoli tesori nascosti negli archivi salesiani. Immaginiamo quindi che negli archivi storici di molti altri istituti religiosi esistano tesori simili, da custodire e riportare alla luce. In questo senso apprezziamo il lavoro del Centro Sperimentale di Cinematografia responsabile del restauro, in particolare l’Archivio nazionale cinema d’impresa d’Ivrea, sede piemontese del Centro con il supporto dell’Assessorato alla Cultura della Regione Piemonte e della Compagnia di San Paolo.