FRONTIERA OIAPOQUE
Ancora non mi conoscono e non conoscono il mio lavoro. Ma, nonostante tutto quello che hanno passato, mi accolgono. Bambina, grazie per i tuoi fagiolI
Leggo su Mondo e Missione, in un articolo di padre Massimo Casaro: «L’Evangelo – ha scritto Olivier Clément – pone la persona e la comunione tra le persone al di sopra di ogni sistema, di ogni idea, anche del bene».
Parole profonde che mi hanno richiamato l’immagine viva di una piccolina con una gonnellina stracciata, sorretta alla vita da uno spago. Mi corre dietro tra due file di case degli indios parakanã. Ha nella mano sinistra una ciotola e nella destra un cucchiaio pieno di fagioli. Me li offre con un sorriso. Li scarica sulla mia mano tesa e io li porto alla bocca. Lei sorride di nuovo contenta e fugge via. Erano semplici fagioli lessi, ma con un sapore squisito.
Negli anni Settanta gli indios parakanã furono trascinati nella cosiddetta “civilizzazione” con la costruzione della strada Transamazzonica che attraversò il loro territorio. Furono trasferiti dal loro habitat, che era stato destinato alla centrale idroelettrica di Tucurui. Le loro donne furono abusate dagli operai e dai funzionari e rimasero con il regalo delle malattie veneree. Il governo mandò un’impresa a costruire un villaggio provvisorio con due file di case e una stradina in mezzo nell’attesa di decidere dove trasferirli. Li visito per aiutare e condividere i loro problemi. Ma loro non sanno se sono amico o nemico. Ancora non mi conoscono e non conoscono il mio lavoro. Ma, nonostante tutto quello che hanno passato, mi accolgono. Bambina, grazie per i tuoi fagioli. Non conosco il tuo nome, né la tua lingua, né la tua religione, ma nella tua povertà e con il tuo gesto m’insegni che l’importante è mettere la persona e la comunione tra le persone al primo posto nella vita.