Potrebbe essere vicino il voto di sfiducia contro il presidente Zuma, in un Paese in difficoltà sia dal punto di vista politico che economico.
Cresce l’onda del dissenso in Sudafrica. L’opposizione nei confronti del presidente Jacob Zuma potrebbe diventare qualcosa di più, sfociando in un voto di sfiducia e in una crisi politica. Per la prima volta, ieri, la speaker del parlamento Baleka Mbete ha detto che verrà considerata la richiesta da parte dei partiti di opposizione di votare la sfiducia contro il presidente. Una dichiarazione significativa per almeno due motivi. Innanzitutto è la prima volta che viene ammessa la possibilità della sfiducia: tutte le mozioni dell’opposizione in questo senso finora erano sempre state respinte. Ma Baleka Mbete è anche la portavoce dell’African National Congress (ANC), il partito al governo sin dalla fine dell’apartheid di cui Zuma è presidente, e la sua apertura è anche una presa d’atto di spaccature profonde all’interno del partito, tali da non essere più ignorabili.
La sfiducia nei confronti di Zuma c’è già stata, in queste settimane, fuori dal parlamento. È passata attraverso le parole e i gesti di persone che hanno una credibilità nel Paese e un ascendente sull’opinione pubblica. La settimana scorsa, il 28 marzo, è morto a Johannesburg Ahmed Kathrada (a destra nella foto), uno dei padri della lotta antiapartheid e compagno di prigione di Nelson Mandela: aveva 87 anni, 26 dei quali trascorsi in carcere, molti proprio con Mandela. Voce autorevolissima e scomoda, ad aprile dello scorso anno aveva chiesto a Zuma di dimettersi dopo l’ennesima vicenda di corruzione. La sua famiglia ha messo subito in chiaro che al funerale l’attuale presidente del Sudafrica non era il benvenuto. Durante la celebrazione funebre la folla ha inneggiato slogan come “Zuma must go”.
Una mossa che sta costando molto a Zuma è stata la decisione presa la settimana scorsa di silurare il ministro delle finanze Pravin Gordhan, che si era opposto alla crescente corruzione all’interno del governo e ad alcune politiche populiste tese a riacquistare consenso ma non sostenibili dal punto di vista economico. Nel suo periodo da ministro delle finanze, Gordhan ha cercato di riportare sotto controllo la spesa dello Stato, la gestione delle aziende statali e delle agenzie delle entrate, in modo da far riprendere l’economia del Sudafrica, in crisi da tempo.
Tecnocrate sempre molto misurato, Gordhan sabato scorso ha lanciato un appello per una «mobilitazione di massa» al raduno per celebrare la memoria di Ahmed Kathrada.
Il cerchio attorno a Zuma si fa sempre più stretto. Il Partito comunista sudafricano, alleato chiave dell’Anc, venerdì ha chiesto le sue dimissioni. Lo stesso ha fatto Domenica il leader di Democratic Alliance (DA), il secondo partito del Paese, unendosi al partito di sinistra Economic Freedom Fighters Party (EFF) nella richiesta del voto di sfiducia.
Fin da quando è stato eletto presidente, nel 2009 Jacob Zuma, è accusato di corruzione, frode e riciclaggio di denaro, con 783 imputazioni in totale. Ma finora è sempre riuscito a restare al potere. Lo scorso novembre c’erano state delle grosse manifestazioni per chiedere le sue dimissioni da presidente del Sudafrica per via di una serie di scandali legati ai rapporti con i Gupta, una ricca famiglia di imprenditori indiani. Poi le richieste di dimissioni hanno cominciato ad arrivare anche da parte di membri dell’ANC per via della disputa con Gordhan. E questa volta potrebbe essere quella decisiva. Dovrebbe restare in carica fino al 2019, ma è ormai quasi certo che il suo mandato finirà come minimo un anno prima.