Il Nangharar – la provincia dell’Afghanistan sulla quale gli Stati Uniti ieri sera hanno sganciato l’ordigno più potente dai tempi dell’atomica – si trova al confine con il Pakistan. Proprio il posto dove l’anno scorso il terrorismo islamista insanguinò la Pasqua. Ma – in questo Venerdì Santo 2017 – chi si ricorda dei cristiani di Lahore?
Certo che ha scelto davvero un posto un po’ particolare Donald Trump per sganciare ieri – alla vigilia della Pasqua – la «madre di tutte le bombe», l’ordigno convenzionale più potente della storia. La provincia del Nangharar è infatti quella al confine con il Pakistan. E quando il Pentagono annuncia trionfale di aver ucciso nell’esplosione «36 miliziani dell’Isis senza alcun danno ai civili», racconta solo un frammento di questa storia. Ad esempio dovrebbe spiegare che cosa vuol dire che in Afghanistan «ha colpito l’Isis». Dovremmo infatti averlo imparato, ormai, che l’Isis oggi è una bandiera che in Asia riunisce gruppi jihadisti locali. E quelli che stanno nel Nangharar sono gli stessi che dall’11 settembre 2001 hanno colpito ininterrottamente in Afghanistan ma anche in Pakistan. Del resto fu proprio nel nord del Pakistan – ad Abbottabad – che gli Stati Uniti compirono il blitz in cui fu ucciso Osama Bin Laden nel 2011.
Dovremmo inoltre ricordarci anche che proprio la Pasqua, un anno fa, fu dominata dalla tragedia dell’attentato di Lahore, la strage al parco nel giorno della festa dei cristiani, un bagno di sangue che lasciò dietro di sé 78 morti e oltre 300 feriti. Proprio questo mese su Mondo e Missione ci siamo chiesti che Pasqua sarebbe stata dodici mesi dopo a Lahore. Perché – appunto – dopo i primi giorni l’emozione per un fatto di sangue passa, ma i cristiani in una realtà difficile come il nord del Pakistan restano.
«Il clima resta teso – ci ha risposto dal Pakistan padre Juan Carlos Pallardel, gesuita originario del Perù, da tre anni ormai al servizio di questa comunità -. Proprio poche settimane fa ci sono stati nuovi attentati in diverse zone del Paese. Condividiamo la preoccupazione di gran parte della popolazione pachistana, anche se le misure di sicurezza per questa Pasqua sono state rafforzate dal governo. La paura è maggiore nelle aree più povere, dove la gente si sente più indifesa: è una Passione che continua. Ma questo non spegne la fede dei cattolici di Lahore. Lo si vede in questi venerdì di Quaresima quando i fedeli si riuniscono nelle chiese per celebrare la Via Crucis, un appuntamento qui sempre molto sentito».
Un’impressione confermata anche in questa intervista da padre James Channan, domenicano, da anni in prima linea proprio a Lahore sula frontiera del dialogo interreligioso. Sì, il dialogo proprio là dove la violenza jihadista ha colpito tante volte in questi anni. «C’è una cosa importante che i cristiani in Occidente non devono smettere di fare – spiega padre Channan alla fine dell’intervista -: credere nel dialogo tra cristiani e musulmani. Abbiamo molto bisogno di gruppi e organizzazioni che sostengano sia spiritualmente che finanziariamente il dialogo interreligioso, i programmi per la pace e le attività condotte in questo Paese. Sono questi programmi e pubblicazioni rivolti ai leader religiosi e ai giovani l’unica strada per portare un cambiamento in positivo nella nostra società. Stiamo camminando in questa direzione ma molto attende ancora di essere fatto».
Ecco: mentre da Washington c’è chi su questa regione del mondo ordina raid con ordigni sempre più potenti, magari solo per «lanciare segnali» alla Corea del Sud o alla Siria, a poche centinaia di chilometri di distanza a Lahore c’è chi questa battaglia la combatte quotidianamente con ben altre armi. Perché è del tutto inutile scardinare gallerie sotto le montagne se non si va a parlare al cuore del Pakistan; e se non si propone un’alternativa a quelle madrasse che in questa regione sono sempre pronte a sfornare sempre nuove generazioni di jihadisti.
È arrivato alla vigilia di Pasqua questo strano blitz americano sull’Afghanistan. La speranza è che a pagarne le conseguenze non finiscano per essere ancora una volta i cristiani del Pakistan, che con coraggio nelle prossime ore torneranno a celebrare la Pasqua nonostante le ferite. Non dimenticarli in queste ore è il minimo che possiamo fare.