L’EDITORIALE
Le opportunità offerte dai nuovi media segnalano, ormai da tempo, l’ingresso in una fase di flessibilità e necessaria creatività, che predilige gli ambienti secolari, le case, le strade, i luoghi di lavoro e di comunicazione alle sale parrocchiali
Amici e colleghi a volte mi rimproverano quando digito sul cellulare durante le riunioni o addirittura a pranzo o a cena. Ma non mi sto divertendo. E quel che capita a me accade naturalmente a tanti altri missionari e operatori pastorali; incapaci di rinunciare a ogni forma possibile di contatto, consiglio o insegnamento. Ormai non si “lascia” veramente nessun posto in cui si è vissuti o si ha lavorato, perché la comunicazione istantanea consente la relazione permanente e prolungata sia con persone conosciute che con altre mai incontrate. I messaggi dai luoghi in cui ho speso i miei primi venticinque anni di vita missionaria – Filippine e Papua Nuova Guinea – sono sempre molti e costanti.
Ora, dopo una lunga assenza, constato che qui in Italia è avvenuto un profondo cambiamento pastorale. Frequento le parrocchie milanesi lungo l’asse occidentale della statale novarese e trovo le chiese piene durante le principali Messe domenicali. Altrove però non è così e soprattutto la sera, durante la settimana, le proposte formative o di preghiera sono in larga parte disattese. Le ordinazioni sacerdotali sono poche. Le parrocchie vengono accorpate. Le innumerevoli congregazioni religiose vivono un forte calo di vocazioni.
La “crisi” non segnala certo un venir meno del valore del messaggio evangelico, ma probabilmente delle sue forme di incarnazione e trasmissione nella società. La Chiesa e le metodologie pastorali non sono il fine, ma lo strumento. E gli strumenti si adattano e si affinano a seconda dello scopo e delle circostanze. Sarebbe un errore non cogliere la necessità di cambiare. La prima domanda quindi non è quanta gente viene in Chiesa, ma quanti portano il Vangelo di riconciliazione nel mondo. È vero che questi convergeranno una volta la settimana in un luogo comune per celebrare la morte e la risurrezione di Cristo; ma sarebbe presenza passiva ed esercizio vuoto senza tensione missionaria.
Alle pagine 30 e 31 di questo numero della rivista, un missionario di 83 anni spiega come dal suo ufficio di Hong Kong parla alla diaspora cinese nel mondo. E come contribuisce a cambiare la vita delle persone grazie all’immensa opportunità di costruire relazioni attraverso i nuovi media.
Tramontano molti degli schemi tradizionali e dei percorsi fissi della pastorale. Oppure diventano una delle tante opzioni e strategie in cui però non è più lecito arroccarsi. Le opportunità offerte dai nuovi media segnalano, ormai da tempo, l’ingresso in una fase di flessibilità e necessaria creatività, che predilige gli ambienti secolari, le case, le strade, i luoghi di lavoro e di comunicazione alle sale parrocchiali. Eppure, sempre di più, i metodi vanno diversificati e le nuove occasioni colte all’istante. L’accoglienza e il cuore aperto, tuttavia, rimangono le attitudini fondamentali ed irrinunciabili del prete e di ogni operatore pastorale.