FRONTIERA OIAPOQUE
L’ultimo dei villaggi era diventato all’improvviso una luce e un esempio. «Dio apprezza la nostra cultura, dobbiamo mantenerla», si cominciò a dire
Il villaggio Espírito Santo degli indios karipuna è l’insediamento indigeno più antico all’Estremo Nord del Brasile e, quando iniziai il lavoro missionario a Oiapoque (Amapá), era anche il meno considerato. Il capo villaggio, Tangahá, era un uomo semplice e analfabeta, anche se suonava il violino e cantava le litanie nella festa del patrono. Un giorno ebbe un’intuizione e mi chiese di mandare una missionaria per loro.
«Tangahá, una missionaria ci sarebbe, ma dove abita e che cosa mangia?», gli obiettai.
La comunità decise di costruire una piccola casa, al cibo avrebbe provveduto a turno una famiglia la settimana. Iniziò così il lavoro missionario di suor Rebecca. La lingua degli indios karipuna era solo orale. Lei propose un patto: «Voi mi insegnate a parlare e io a scrivere la vostra lingua». Dopo un anno suor Rebecca parlava la lingua indigena e avviò una piccola scuola con maestri locali, nella casina che gli indios avevano costruito. Elaborarono insieme un alfabeto a partire da un principio: per ogni fonema un solo grafema, per ogni suono solo un simbolo. Apprendere la lingua scritta e iniziare nel villaggio la scuola di alfabetizzazione per adulti e bambini fu il passo successivo. «Abbiamo una scuola, la nostra scuola, nella nostra lingua!».
Fu il rinascere di un popolo, la riscoperta della propria cultura. L’ultimo dei villaggi era diventato all’improvviso una luce e un esempio. «Dio apprezza la nostra cultura, dobbiamo mantenerla», si cominciò a dire. Nel giro di due-tre anni tutti i villaggi della regione avevano la scuola di alfabetizzazione nella loro lingua. Anche il culto e i canti vennero tradotti. Essere indios non significava più essere inferiori, ma era un privilegio e un regalo.