Non ammessa per gli stranieri e teoricamente sanzionata anche per i cittadini cinesi, la maternità surrogata sta acquisendo nella Repubblica popolare di Cina dimensioni non solo in linea con l’immensità della popolazione, ma anche con le sue valenze commerciali e l’interesse mediatico.
È un business che costa fino a 100mila dollari a chi chieda un utero in affitto. Alla fine, un “affare” se rapportato con i 120-180mila di chi si reca in California per evitare anche le difficoltà residue, e usufruire del beneplacito ufficiale in uno degli States dove la surrogata è legale anche se più costosa. Altre possibilità sono offerte in paesi del Sud-Est asiatico, ma con rischi superiori anche se a prezzo ridotto.
In Cina la maternità surrogata sta acquisendo nella Repubblica popolare di Cina dimensioni non solo in linea con l’immensità della popolazione, ma anche con le sue valenze commerciali e l’interesse mediatico. È un fatto che centinaia di donne sono scelte, gestite e retribuite per garantire a coppie sterili una prole che costituisce anche un lucroso affare per gli organizzatori.
Contrariamente a quanto si pensi, in misura crescente le donne cinesi che si rendono disponibili a portare avanti una gravidanza per procura non provengono da aree o situazione disagiate, ma sovente lasciano il lavoro per intraprendere un’avventura sicuramente lucrosa anche se non priva di rischi. Se di origine rurale, spesso di nascosto dai parenti o vicini nei villaggi da cui provengono per lo stigma sociale che accompagna iniziative tradizionalmente accettate solo in caso di infertilità e all’interno di una cerchia di consanguinei.
Sicuramente alla base dell’espansione della pratica stanno una maggiore ammissibilità sociale e la distrazione opportuna delle autorità. Oltre che la disponibilità di strutture e di organizzazioni.
Perché se dal 2001 è illegale per i medici essere coinvolti nella maternità surrogata, nessuna legge la proibisce apertamente, legittimando imprese private che, anche in collegamento con strutture pubbliche o loro operatori portano avanti la commercializzazione della pratica. Come si sottolinea negli ambienti medici, le leggi attuali sono solo destinate a regolare la vita professionale del personale medico, non le attività di cui si occupa. Insomma, la questione presenta zone d’ombra di tale ampiezza da consentire una convergenza pressoché indenne dai rigori della legge tra operatori e fruitori della maternità surrogata, oltre che per le donne che intendono rendersi disponibili per essa.
“Madri” che per i mesi della gravidanza dispongono di cibo, cure, attenzioni… tutto finalizzato a un parto che per la maggior parte di loro avviene in condizioni assai migliori di molte conterranee.
Sono forse 10mila ogni anno le nascite connesse con la pratica in Cina, una stima che comunque ne fa un hub globale. Alla “corsa” verso la surrogata “made in China” contribuisce l’età sempre più alta dei genitori committenti, in parte perché arrivati tardi al matrimonio e alla volontà di aver figli, in parte per gli stimoli proposti dalle organizzazioni sempre più agguerrite che gestiscono la surrogata commerciale. Contribuisce però anche il rischio di un irrigidimento ufficiale in materia. “Il rischio”, perché davanti al fallimento sostanziale della “politica del figlio unico” e la necessità di rilanciare la natalità per evitare arretramento economico e disordine sociale, la leadership di Pechino dimostra un’ampia tolleranza verso tutti i fenomeni che – illegali o borderline – possano contribuire a sostenerne la demografia e alla soddisfazione dei bisogni essenziali della popolazione, in particolare per la classe media, sempre più benestante ma sui cui pesano i benefici della crescita come pure i rischi.
Per questo, all’inizio del 2016, dopo che erano state definite incompatibili con la dignità delle donne cinesi e denunciata come minacciata da criminalità e corruzione, con una mossa a sorpresa del Comitato permanente del Congresso nazionale del popolo (il Parlamento cinese) che ha deciso di ritirare la bozza di legge che avrebbe bandito le pratiche surrogate, queste sono tornate ammissibili, consentendo a potenziali genitori cinesi di utilizzare donne connazionali per concretizzare la voglia condivisa di maternità e paternità. Una mossa spiegata con la necessità di ridurre il flusso di cinesi benestanti verso altri paesi in cerca di madri surrogate, che dà luogo a una situazione discriminatoria.