Tamang, dalla tratta al tetto del mondo

Tamang, dalla tratta al tetto del mondo

Kanchhi Maya Tamang, sopravvissuta alla tratta anche grazie alla passione per l’alpinismo, è la prima donna nepalese a raggiungere la cima dell’Everest: «L’ho fatto per dimostrare alle ragazze del mio Paese che possono scalare qualsiasi montagna».

 

Ha voluto urlare il suo messaggio dalla vetta più alta del mondo Kanchhi Maya Tamang, 28 anni e già addosso lo status di sopravvissuta alla tratta. Zaino in spalla, nelle scorse settimane la donna si è lanciata in un’impresa che è senz’altro sportiva ma soprattutto sociale. Da un lato infatti, Tamang ha conquistato il primato di unica donna nepalese mai arrivata in cima all’Everest; dall’altro però, grazie a lei, per la prima volta gli 8848 metri d’altezza della montagna si sono trasformati in un palco d’eccezione per i diritti di genere. Lo scorso 20 maggio, infatti, appena arrivata in cima, Tamang ha esposto un cartello con la scritta «Siamo persone, non proprietà. Basta tratta di esseri umani», richiedendo l’abolizione di una pratica che in Nepal come in molte altre zone del mondo è ancora una triste realtà.

Ogni anno dal Paese partono migliaia di donne vendute come schiave, tra le quali solo poche riescono a scappare e a fare ritorno in patria. La Commissione nepalese per i diritti umani per il biennio 2014-2015 ha registrato 8500 vittime di tratta nonostante, nello stesso periodo, sembra esserci stato un aumento del 12 per cento delle persone salvate dai trafficanti rispetto all’anno precedente. Tuttavia, gli attivisti mettono in guardia da questi dati che sembrano sottostimare il problema: dopo il terremoto del 2015 in queste zone, infatti, la gente si è impoverita ed è diventata vulnerabile e più arrendevole nei confronti delle false promesse dei trafficanti. In questo senso, le mete preferite dalle bande criminali sono l’India (dal cui governo è più facile procurarsi un visto di lavoro per i Paesi arabi) e il Medio Oriente, dove le donne vengono impiegate come domestiche nelle periferie delle città, quando non costrette immediatamente a prostituirsi.Tamang,

Kanchhi, originaria del villaggio di Yarsa nel distretto di Sindhupalchowk – uno dei più coinvolti del Nepal nella tratta –, è stata portata in India e poi in Egitto dove ha lavorato come donna di servizio per sei anni subendo innumerevoli molestie di ordine psicologico. «Non mi davano il salario. Se lo chiedevo, mi domandavano per cosa l’avessi bisogno come se fossi una mendicante. Ho sofferto così tanto e alla fine sono tornata a casa. Sognare di scalare l’Everest e di fare qualcosa per migliorare il mio Paese d’origine è stato ciò che mi ha dato la speranza del ritorno».

Riuscita a scappare e rientrata in patria, Kanchhi ha iniziato ad occuparsi dei diritti delle donne, a cominciare dall’istruzione, per evitare che altre ragazze subiscano il suo stesso destino. L’Everest è il culmine del suo impegno in favore della comunità d’origine: un gesto altamente simbolico che dimostra che le nepalesi possono fermare le ingiustizie e raggiungere qualsiasi traguardo.

Accompagnata dallo sherpa Pemba Dorje e insieme ad altri 19 alpinisti, la donna ha raggiunto la vetta dopo undici ore di scalata seguendo il percorso a sud del monte Everest. A sponsorizzare il suo viaggio c’era anche l’agenzia UN Women che ha dichiarato che mai nessun altro aveva percorso tanta in salita per far sentire la voce delle donne.

«La mia vittoria è una vittoria per tutte le donne. La mia missione è contribuire a eliminare la discriminazione in Nepal e fare in modo che tutte le ragazze abbiamo diritto alla libertà e possano vivere in un ambiente adatto a realizzare il proprio potenziale umano. Per molte donne nepalesi esiste un Everest invisibile tra se stesse e i loro traguardi: io l’ho scalato per incentivare le ragazze a scalare le proprie montagne».