L’EDITORIALE
«Per il legame profondo tra l’istituto e Milano anche il Pime vive con gioia la nomina del nuovo arcivescovo Mario Delpini. E rilancia la sfida della missione ad gentes come via per il rilancio pastorale»
Il legame del Pime con la città e la diocesi di Milano è strettissimo, essendo l’Istituto nato come Seminario Lombardo per le Missioni Estere nel 1850 a Saronno da una decina di sacerdoti e laici ambrosiani. Anche il Pime, quindi, vive con gioia la nomina del nuovo arcivescovo monsignor Mario Delpini dopo le dimissioni per raggiunti limiti di età del cardinale Angelo Scola, in carica dal 2011 e già patriarca di Venezia. Le prime parole di mons. Delpini al momento dell’annuncio, il 7 luglio scorso, confermano una linea di apertura e missionarietà, che oggi ha bisogno di concretizzarsi anche all’interno della diocesi.
Il nuovo arcivescovo non ha evitato, infatti, di sottolineare che Milano è una metropoli dai tanti volti, abitata da nuovi gruppi umani con nuove lingue, dove la capacità di interagire con la diversità e varietà delle culture e dei popoli appare sempre più indispensabile. Occorre poter parlare anche a ospiti temporanei e nuovi cittadini per i quali è necessario qualcosa di innovativo e diverso dalla pastorale ordinaria che ruota attorno all’eucaristia domenicale e alle dinamiche parrocchiali.
La pastorale in effetti vive attualmente la più difficile fase di passaggio dal Concilio di Trento, che aveva riorganizzato seminari e parrocchie, registri di battesimo e matrimonio religioso per tutti, parroci in ogni paese e una pratica religiosa e di vita scandita dall’amministrazione dei sacramenti e dalla catechesi… Tutto più difficile e quasi impossibile nel nuovo sistema di vita personale e sociale instauratosi a partire dalla seconda metà del Ventesimo secolo, accompagnato, per altro, dalla diminuzione delle vocazioni sacerdotali.
La risposta di Milano e di altre diocesi sono state le unità pastorali, ma ci si accorge che si tratta solo di un primo provvedimento. La lettura e la comprensione della vastità e profondità delle trasformazioni rimane un lavoro da compiere. Una fatica che rischia inevitabilmente di chiudere anche la Chiesa un po’ su se stessa se non vissuta comunque in modo gioioso perché evangelica.
Invece, mentre si apre e si interessa di coloro che arrivano sul proprio territorio e cerca di riformulare la pastorale, la diocesi dovrebbe, a nostro avviso, tenere viva la fiaccola della missione ad gentes, che si è accesa con la fondazione del Pime a metà dell’Ottocento e si è sviluppata in una varietà di forme nei decenni successivi e soprattutto dopo il Concilio Vaticano II. E nella cooperazione con quelle Chiese per cui le unità pastorali (o esperienze simili) non sono un ripiego, ma la prassi abituale e da sempre un mezzo di valorizzazione del laicato, la diocesi ambrosiana potrebbe vedere una possibilità di apprendimento; assolutamente necessaria a qualsiasi forma di efficace rilancio pastorale e missionario.