Il fenomeno di cyber-criminalità in Africa è nato diversi anni fa nelle grandi città, e ora si sta diffondendo nei piccoli centri. Ma chi c’è dietro le truffe via web? Un missionario del Pime ivoriano l’ha scoperto entrando in un cybercafé di Abijan.
ABIJAN,18 luglio 2017
Sono le otto di mattina quando entro nel cybercafé. Al mio arrivo è pieno di ragazzini dai dieci ai sedici anni. Alcuni di sono seduti di fronte ai loro computer portatili. Altri invece, usano i computer del cyber. Ho bisogno di connettermi alla rete senza fili per un paio di ore.
«Quanto costa la connessione wi_fi?», chiedo al ragazzo incaricato del centro. «Cento franchi l’ora oppure 500 franchi (poco meno di un euro) per tutto il giorno». Per me è una sorpresa. Pensavo costasse di più. Pagare meno di un euro al giorno per una connessione illimitata ad alta velocità mi sembra incredibile.
Mi accomodo accanto ai ragazzi, per leggere la mia posta elettronica e scaricare alcuni programmi e applicazioni. Mi accorgo che i ragazzi seduti vicino a me usano un linguaggio molto strano e con termini tecnici, del tutto sconosciuti a un non esperto come me. Noto che navigavano sia con il computer che con il cellulare. Dopo un po’, due di loro, che lavorano sullo stesso computer, cominciano a esultare: «Evviva! Il bianco ci è caduto! Ci siamo risusciti!».
Solo allora mi sono reso conto che quegli adolescenti dal volto d’angelo, non erano così innocenti. Erano cyber-criminali: “brouteurs” come si dice ad Abidjan.
Il fenomeno di cyber-criminalità detto “arnaque” in francese o “broutage” nel linguaggio ivoriano è nato da anni nelle grandi città africane come Abidjan, Ibadan, Abuja…, ma con il tempo si è esteso fino ad arrivare nelle piccole città.
Ma di che si tratta esattamente? Chi sono questi cyber-criminali? Come operano?
Per saperne di più, avvicino un gruppo di tre brouteurs per un’intervista registrata. Visto che sono un po’ timorosi e diffidenti, mi presento e prometto di non denunciarli; in più pago loro 5000 franchi (10 dollari) per convincerli della mia buona fede e “sciogliere loro la lingua”.
Come procedete per sottrarre dei soldi alle vostre vittime?
Tutto si fa su internet. Usiamo le reti sociali come Facebook, Skype, Twitter… Ma il metodo più comune è andare sui siti d’incontri. Ci sono tanti europei inscritti su questi siti per cercare l’anima gemella, sia per un momento di divertimento, sia per stare insieme per il resto della vita. Ci sono anche esigenze razziali: bianchi che cercano neri, neri che cercano asiatici, e asiatici che cercano bianchi. Noi abbiamo differenti profili e fotografie di donne e uomini di ogni razza. A seconda delle preferenze della persona interessata, ci presentiamo con il profilo adeguato. A volte chattando mi faccio passare per una giovane ivoriana pronta ad avere un’avventura con un europeo, anche se anziano, a patto che mi paghi – dice il più giovane dei ragazzi -. Altre volte – prosegue – mi presento come una “lele” (lesbica) africana o un “pede” (gay) africano che vuole andare in Europa per vivere la mia vita sessuale senza tabù né censure, lontano dagli sguardi indiscreti e dai pettegolezzi. Abbiamo un buon database di fotografie scaricate da internet, ne scegliamo alcune che pubblichiamo insieme all’annuncio e nei minuti che seguono tutti gli interessati ci contattano.
E poi cosa succede?
A questo punto noi poniamo le condizioni: chiediamo dei soldi per fare il passaporto, il visto e pagare il biglietto aereo. Se i soldi arrivano, ci inventiamo altre storie per dire che non li abbiamo ricevuti o che un’altra persona ci ha ingannato. Diamo il nome e contatto di un altro socio, chiedendo al “yoyo” o “mougou” (vittima) di mandargli la stessa cifra. Quando la vittima si rende conto della truffa è già tardi; ha già pagato tanto.
Ci sono altri stratagemmi e tecniche di broutage?
Il chantage è un altro metodo. Molto spesso le vittime sono persone sposate o con responsabilità di alto livello. Se riusciamo ad avere l’indirizzo della vittima con la sua foto, la minacciamo di pubblicare la sua identità su internet o informare la sua famiglia. Visto che nessuno vuole distruggere la sua famiglia o la sua immagine, le vittime sono costrette a darci ciò che chiediamo. Così funziona. Funziona anche il “cyber-flirt” – prosegue un altro -. Organizziamo una video chat con le nostre vittime. Diciamo che non vediamo l’ora di vedere il loro corpo, al quale siamo pronti a regalare tanto piacere. Facciamo vedere la foto o il video di una persona nuda o parzialmente nuda, facendoci passare per questa persona e chiediamo alla vittima di fare altrettanto. Se ci casca, scattiamo una foto dello schermo nel momento in cui si presenta nudo o semi nudo. Dopo diciamo che siamo minorenni e che ciò che ha fatto è un delitto grave. Se non ci manda i soldi che chiediamo, lo denunciamo per “cyber-pedofilia”, o pornografia infantile. Visto che abbiamo la sua foto o il video, e visto che la pedofilia su internet è un delitto grave, la vittima è obbligata a pagare i soldi. Dopo un paio di settimane, torniamo alla carica per fare lo stesso chantage; quando si rende conto noi abbiamo già incassato un bel po’ di denaro.
Ho sentito parlare dei “sottomessi”; potete dirmi qualcosa a questo proposito?
I sottomessi, come si può intuire dal nome, sono persone alle quali piace essere schiave dei loro interlocutori in rete. Fanno tutto ciò che ordiniamo. Addirittura le cose meno immaginabili.
Cioè?
Più li maltrattiamo, più si sentono felici; più li sottomettiamo, più soldi ci mandano. Per esempio se il sottomesso è un uomo, gli posso dire di vestirsi da donna, di strisciare sul pavimento come un serpente, di farsela addosso come un bambino; e lo fa con molto piacere. Alla fine ci manda i soldi che chiediamo. Pare strano ma ci sono persone così.
È una nuova forma di sadomasochismo virtuale?
Non lo so. Noi li chiamiamo sottomessi.
Che dite invece degli imprenditori europei che cadono nelle vostre reti?
Il loro caso è differente. Loro sono persone di buona volontà, che cercano soci nei paesi sottosviluppati per investire. A queste persone ci presentiamo come uomini d’affari locali. Presentiamo loro un progetto ben fatto, con fotografie, presupposto economico, etc. Se l’imprenditore europeo è interessato, ci manda i soldi per tutto il processo di creazione della ditta. Alla fine è un bel po’ di denaro quello che riceviamo. Dopo molto tempo, quando capisce di essere caduto in una truffa, ha già perso tanti soldi. E noi ce la ridiamo con i nostri amici comprando cose utili e inutili.
C’è un altro stratagemma del quale volete parlare?
Si. C’è anche la “truffa alla nigeriana”. È molto semplice. Per esempio sappiamo che tantissimi italiani hanno Tiscali come posta elettronica. In genere si apre la posta elettronica con il nome o il cognome. Quindi possiamo indovinare tanti indirizzi di posta elettronica. Per esempio: dario.pagani@tiscali.it, oppure luigiferrari60@tiscali.it o tante altre e-mail del genere. Prima o poi qualcuno riceverà la nostra mail. Se riusciamo ad avere la lista dei suoi contatti, mandiamo una e-mail a questi contatti, dicendo che la persona si trova bloccata in un aeroporto o in un paese e che i malviventi hanno rubato il suo portafoglio con tutti i documenti. Chiediamo un po’ di soldi a nome suo per risolvere il problema. Vi immaginate tutte le persone che manderanno soldi per aiutare il loro amico? Se non è una persona che apre spesso la posta elettronica, facciamo in tempo a sottrarre dei soldi ai suoi contatti più compassionevoli. La truffa alla nigeriana consiste anche nell’usare questa classica formula, ormai vecchia, ma nella quale continuano a cadere tante persone – spiega il più grande dei ragazzi. – È questa: “Mi chiamo Louis Acheampong, figlio unico del Re degli Nzima del Ghana, mio padre, alla sua morte ha lasciato una fortuna estimata a otto milioni di dollari americani. I soldi sono domiciliati nella banca centrale del Ghana e in due altre banche in Svizzera e Inghilterra. Io avevo 14 anni o quando venne a mancare mio padre. Adesso che ho compiuto 18 anni, voglio recuperare la mia eredità, ma la grande famiglia vuole accaparrarsi tutto il patrimonio. Ho trovato un avvocato pronto ad aiutarmi, e sbrigare tutte le pratiche giuridiche e burocratiche. Se sei una persona che non sopporta l’ingiustizia e vuole fare fortuna, per favore aiutami a recuperare la mia eredità. Ho bisogno di pagare l’avvocato e fare altre spese. Mandami 5000 euro e non appena mi daranno i soldi, avrai diritto al 20%. Aspetto la tua risposta. Qui in allegato trovi il mio indirizzo e quello del avvocato”.
Io ho già ricevuto varie e-mail di questo genere, e ci è mancato poco che ci cadessi – dico per confermare quanto è diffusa questa maniera di procedere.
Ci sono persone che diventano ricche con queste truffe? Potete garantire il vostro futuro con queste truffe?
Noi abbiamo cominciato usando i computer del cyber, oggi abbiamo il nostro laptop. Ci sono altre persone che hanno comprato case, appartamenti e taxi con il denaro del broutage.
Potete dirmi come arrivano i soldi? Vi fanno bonifici o trasferimenti interbancari?
Noi non abbiamo conti in banca. I soldi arrivano per Western Union o Moneygram o per altri modi… Ci rechiamo alla cassa con un documento d’identità e il codice, e da li usciamo con il sorriso e le tasche piene. Dopo depositiamo una parte del denaro sui mobile-money o facciamo compere.
Mi è rimasto un dubbio: Il governo ha creato una polizia speciale per combattere questo fenomeno. Anche l’Interpol da la caccia ai brouteurs. Alcuni dei vostri compagni sono in carcere… non avete paura?
Ci sono poliziotti che lottano contro i brouteurs, ma ci sono altre persone autorevoli che ci aiutano. Per esempio, quando i soldi arrivano, sono milioni di franchi. Non possiamo andare da soli a ritirarli. Ciascuno ha il suo “tonton” di fiducia che lo accompagna alla cassa. E lo paghiamo bene. Ci mangiamo tutti.
C’è un messaggio che volete dare prima di terminare l’intervista?
Noi facciamo questo perché guadagniamo tanti soldi, denaro facile. Se trovassimo qualcosa di meglio non lo faremmo più.
Posso farvi una foto per terminare?
A questo punto i ragazzi si guardano, non dicono niente, ma questo silenzio è un “no”. Li ringrazio, pago i 5.000 franchi e me ne vado.
Ferdinand Komenan è un missionario del Pime originario della Costa D’Avorio