Nel loro messaggio per l’odierna Giornata del creato Papa Francesco e il Patriarca Bartolomeo ricordano il legame tra la violenza sull’ambiente e violenza all’uomo. Un aspetto che «Mondo e Missione» vuole ricordare con un nuovo martirologio scomodo
«La nostra tendenza a spezzare i delicati ed equilibrati ecosistemi del mondo, l’insaziabile desiderio di manipolare e controllare le limitate risorse del pianeta, l’avidità nel trarre dal mercato profitti illimitati: tutto questo ci ha alienato dal disegno originale della creazione (…). L’ambiente umano e quello naturale si stanno deteriorando insieme, e tale deterioramento del pianeta grava sulle persone più vulnerabili. L’impatto dei cambiamenti climatici si ripercuote, innanzitutto, su quanti vivono poveramente in ogni angolo del globo».
Papa Francesco e il patriarca ecumenico Bartolomeo tornano a sottolineare il legame profondo tra la custodia del creato e l’attenzione concreta ai poveri nel messaggio comune pubblicato in occasione dell’odierna Giornata del creato, che da alcuni anni anche i cattolici celebrano insieme alle Chiese ortodosse. È un tema sul quale Mondo e Missione insiste da tempo e che ci aiuta a collocare l’attenzione all’ambiente nella sua giusta prospettiva, che non è quella di uno sfizio ma un cammino di conversione rispetto a un male che letteralmente uccide in tanti angoli del mondo.
Come Pime questa storia l’abbiamo vissuta anche in prima persona nel 2011 con l’uccisione nelle Filippine di padre Fausto Tentorio, missionario ucciso nelle Filippine proprio per il suo impegno a fianco delle popolazioni tribali nella difesa del diritto alla terra. Ma è un martirio che va avanti in maniera quotidiana e nascosta anche in tante altre periferie del mondo. E proprio per questo nel giugno 2016 – a un anno della pubblicazione dell’enciclica – avevamo pubblicato questo approfondimento sui «martiri della Laudato Sì». Nomi, volti e storie di persone impegnate nella difesa dell’ambiente e per questo uccise dalla longa manus di un mondo che in nome della sete di materie prime in certe aree del mondo continua a uccidere, senza farsi troppi scrupoli.
Ma è una scia di sangue che – nonostante le parole – non si ferma. Anzi, come denunciava a giugno nel suo report annuale l’ong Global Witness nell’ultimo anno ha addirittura accelerato il suo ritmo di morte. Per questo con questo 1° settembre 2017 vogliamo inaugurare una nuova tradizione: d’ora in poi accompagneremo la Giornata del creato con l’aggiornamento del nostro elenco dei martiri della Laudato Sì. Proporremo ogni anno alcune storie significative per far capire quanto questa violenza nascosta attraversi il mondo di oggi; e quanto ci chiami tutti a scelte profonde di conversione per abbracciare uno stile di vita rispettoso del creato e delle persone che lo abitano.
Ecco allora qui sotto alcune storie scelte tra quelle degli uomini e donne uccisi nel mondo per la salvaguardia dell’ambiente tra il 1 settembre 2016 e il 31 agosto 2017
———————–
Luiz Alberto Araújo, Brasile, 13 ottobre 2016
Era l’assessore all’ambiente di Altamira, Luiz Alberto Araújo. Assessore in una municipalità di 110mila abitanti nello Stato del Parà in Amazzonia. Il 13 ottobre due killer lo hanno ucciso mentre si trovava alla guida dell’auto con a bordo la moglie e i figli. Il Parà è uno degli Stati brasiliani con il maggior numero di omicidi legati alla difesa dell’ambiente; ne sono stati censiti ben 150 dal 2012 a oggi. Ma la morte di Araújo segna un salto di qualità per la scelta di un politico locale come obiettivo. Sua «colpa» probabilmente è stata quella di aver provato a far rispettare le regole nella miniera d’oro Esperança IV e nel mega impianto idroelettrico di Belo Monte.
Jose Ángel Flores e Silmer Dionicio George, Honduras, 19 ottobre 2016
Jose Ángel Flores e Silmer Dionicio George sono stati colpiti a morte da un commando il 19 ottobre 2016 nella regione del Bajo Aguán, in Honduras. I due erano leader del Movimiento Campesino Unificado del Aguán, che da anni si batte contro un grande progetto agricolo per la produzione di olio di palma che andrebbe a spogliare dei loro diritti i piccoli agricoltori locali. Entrambi erano stati minacciati, uno dei due l’anno scorso era stato anche vittima di un tentativo di omicidio, fallito solo perché l’arma si era inceppata. Eppure questo precedente non è bastato a proteggerli; il che dà l’idea di quanto forte sia il grado di impunità di cui godono oggi in Honduras i gruppi paramilitari al servizio dei poteri forti. Proprio in Honduras nel marzo 2016 fece notizia l’omicidio di Berta Caceres, attivisti per i diritti degli indios lenca impegnata contro la costruzione di un mega impianto idroelettrico, divenuta un simbolo dei «martiri della Laudato Sì» anche per la sua partecipazione all’Incontro dei movimenti popolari con Papa Francesco.
Jeremy Abraham Barrios Lima, Guatemala, 12 novembre 2016
In un agguato avvenuto a Città del Guatemala il 12 novembre 2016 è stato ucciso Jeremy Abraham Barrios Lima, 22 anni, assistente del direttore generale del Calas, Centro de Acción Legal Ambiental y Social de Guatemala. Il Calas è un organismo fortemente impegnato nella difesa dell’ambiente e del territorio delle comunità indigene, specialmente a fronte degli interessi crescenti delle compagnie minerarie sui loro territori.
Aldemar Parra García, Colombia, 7 gennaio 2017
Aveva lavorato in una delle miniere della regione del Cesar, in Colombia, Aldemar Parra García. Aveva vissuto in prima persona con la sua famiglia tutte le vicissitudini dei reinsediamenti forzati delle comunità indigene, trasferite dalle terre dove vivevano da secoli per fare spazio ai nuovi progetti estrattivi. E nella città di El Haltillo era diventato uno degli attivisti che si davano da fare per la difesa dei loro diritti. È stato ucciso il 7 gennaio 2017 da due killer su una motocicletta. Nella sola regione del Cesar dal 2012 a oggi sono ben 200 le denunce di violenze e atti di intimidazione contro leader locali impegnati per la difesa della terra.
Isidro Baldenegro Lopez, Messico, 15 gennaio 2017
Come Berta Caceres uccisa nel 2016 in Honduras, anche il messicano Isidro Baldenegro Lopez, 51 anni, attivista dell’etnia Tarahumara, era stato insignito del Goldman Environmental Prize – una sorta di «premio Nobel» dell’ambientalismo. Lo avevano premiato nel 2005 per il suo impegno per la foresta della Sierra Madre, minacciata dagli interessi delle società del legname e degli stessi narcotrafficanti, che utilizzano i terreni ricavati dal disboscamento per coltivare la marijuana. Isidro Baldenegro López è stata ucciso il 15 gennaio nel suo villaggio, Coloradas de la Viergen, dove era ritornato per fare visita a uno zio: proprio per via delle ripetute minacce era stato infatti costretto a lasciare la sua comunità, nell’estrema regione meridionale dello Stato di Chihuahua
Mia Mascariñas-Green, Filippine, 15 febbraio 2017
Crivellata con 28 pallottole davanti alla figlia più grande di 10 anni e ai gemellini di 23 mesi. È quanto accaduto il 15 febbraio 2017 nella città di Tagbilaran sull’isola di Bohol nelle Filippine a Mia Mascariñas-Green, avvocato, impegnata per l’ong Environmental Legal Assistance Center, protagonista di molte battaglie anche per la difesa dei pescatori locali. Il marito – un biologo inglese – sospetta però che dietro l’omicidio vi sia in realtà una disputa sulla proprietà di un resort marino che l’aveva vista impegnata nella sua attività professionale. Altro volto di un ambiente sempre più piegato a interessi economici che non guardano in faccia nessuno.
Waldomiro Costa Pereira, Brasile, 21 marzo 2017
Avevano già provato a ucciderlo pochi giorni prima, ma si era salvato. Così il 21 marzo 2017 il commando è andato direttamente nell’ospedale per terminare l’esecuzione. È quando successo a Waldomiro Costa Pereira, attivista dei Sem Terra, colpito a morte nell’ospedale di Parauapebas nello stato amazzonico del Parà. Una vicenda che parla da sola sul grado di complicità e impunità di cui gode oggi in Brasile le milizie che vogliono togliere di mezzo quanti si battono per il diritto alla terra.
Aysin e Ali Ulvi Büyüknohutçu, Turchia, 10 maggio 2017
Tra i mille contraccolpi delle guerre e della situazione politica in Turchia spunta anche l’omicidio di una coppia di ambientalisti. Il 10 maggio 2017 a essere colpiti a morte nella loro casa nel distretto di Antalya, nella Turchia sud-occidentale, sono stati Aysin e Ali Ulvi Büyüknohutçu, entrambi di 61 anni, molto noti nella zona per il loro attivismo contro lo sfruttamento delle cave della zona, preziose per l’impetuoso sviluppo edilizio delle città turche. Le indagini hanno accertato che un uomo che lavorava in una cava costretta a chiudere per le loro campagne ha assoldato un killer che li ha poi uccisi per 50.000 lire turche, circa 12 mila euro.
Sharath Madivala, India, 4 luglio 2017
Nel distretto di Bantwal, nello Stato del Karnataka in India, era un attivista legato alla galassia del nazionalismo indù Sharath Madivala. Ma si era anche messo di traverso agli interessi dei potentati legati allo sfruttamento delle miniere di sabbia, una materia prima in apparenza molto umile eppure sempre più richiesta sui mercati oggi per via dell’urbanizzazione globale che ne divora quantità enormi. E gli inquirenti indiani ritengono che sia stata proprio questo attività a portarlo alla morte, avvenuta in agguato avvenuto su una strada la notte del 4 luglio 2017.
Charles Paluku Syaira, Jonas Paluku Malyani e Pacifique Musubao Fikirini
Repubblica democratica del Congo, 14 agosto 2017
Tre guardie del Virunga National Park – Charles Paluku Syaira, Jonas Paluku Malyani e Pacifique Musubao Fikirini – sono state uccise la mattina del 14 agosto 2017 durante un pattugliamento di routine nel parco, che ospita diverse specie animali a rischio di estinzione tra cui i locali gorilla ed elefanti. L’omicidio è stato attribuito ai locali ribelli Mau Mau a otto il numero delle guardie del parco uccise negli ultimi mesi (e addirittura a 160 negli ulti9mi vent’anni). Dietro a queste morti c’è l’intreccio perverso tra i cacciatori di frodo e le milizie locali, che si nascondono nella foresta e utilizzano la caccia illegale come fonte di finanziamento.
Domingo Edo, Filippine, 20 agosto 2017
Era un operatore del Centro di Azione Sociale della diocesi di Marbel, sull’isola di Mindanao nelle Filippine, il laico Domingo Edo, ucciso il 20 agosto mentre si recava a tenere una liturgia della Parola nel villaggio di Bong Mal. Con lui viaggiava un giovane ministrante, Ramil Piang, che è stato ferito nell’agguato. L’episodio è avvenuto nell’area della tristemente famosa miniera del Tampakan, un impianto estrattivo a cielo aperto di oro e rame che si candida a diventare uno dei più grandi del mondo. E proprio nel sostegno alle popolazioni indigene rispetto ai diritti sulla terra che la miniera porterebbe loro via era impegnato Domingo Edo. Non è la prima volta che il progetto del miniera del Tampakan – realizzata dalla Sagittarius Mines, impresa locale controllata dalla multinazionale svizzera Xstrata – si tinge di sangue. Sempre nella stessa area, nella zona di Columbio, nell’ottobre 2012 era avvenuto il massacro di Juvy Capion, attivista della tribù b’laan, che si batteva contro la miniera. Fu uccisa insieme ai suoi due figli di 6 e 13 anni in uno dei tanti eccidi di questo genere rimasti impuniti nelle Filippine.