All’Africa vengono sottratte importante risorse con la sotto-fatturazione e sotto-valutazione dei beni esportati. La Tanzania ha comunicato di aver di aver bloccato per questa ragione un carico di diamanti dal valore di 30 milioni di dollari in uscita dal Paese.
La notizia è fresca, e bisogna attendere per capire come la vicenda andrà a finire. La Tanzania ieri ha comunicato di aver sequestrato un carico di diamanti che stavano per essere esportati dal Paese, estratti dalla miniera Williamson Diamond posseduta in maggioranza dalla Petra Diamonds, multinazionale quotata alla borsa di Londra.
L’accusa è di aver sotto-valutato il carico di diamanti allo scopo di pagare meno tasse. «La Williamson Diamonds Ltd ha dichiarato nella sua documentazione che il valore dei damanti è di 14.798 milioni di dollari, mentre una nuova valutazione compiuta dal governo stabilisce che il vero valore dei diamanti è di 29.5 millioni», ha dichiarato il ministero delle Finanze tanzaniano in un comunicato ufficiale. L’azienda avrebbe quindi valutato il carico di diamanti meno della metà del valore reale.
L’azienda Williamson Diamonds è a partecipazione statale per il 25%, mentre il restante 75% è di proprietà di Petra Diamonds. Ma una commissione parlamentare ha dichiarato che ci sarebbero grosse irregolarità sul modo in cui le quote sono passate da un 50% iniziale posseduto dal governo della Tanzania all’attuale 23%.
A comunicare l’avvenuta confisca è stato direttamente il presidente della Tanzania John Magufuli, in risposta a un interrogazione parlamentare. Magufuli è soprannominato “il bulldozer” per l’impegno nella lotta alla corruzione, sul quale ha costruito anche la sua campagna elettorale.
Non è la prima volta quest’anno che il suo governo prova a mettere un freno alla sotto-valutazione di minerali. All’inizio di quest’estate alla compagnia Acacia è stata inflitta una multa di 190 miliardi di dollari dopo che una commissione governativa ha denunciato che stava operando illegalmente e che aveva sottostimato il valore del minerale esportato.
Al di là della vicenda in sé, di cui si vedranno gli esiti, è accertato che all’Africa ogni anno vengano sottratti ingenti capitali attraverso la sotto-fatturazione dei beni esportati, che provoca ammanchi importanti alle casse degli Stati. A denunciarlo e fornire tutti i dati è stato pochi giorni fa uno studio pubblicato da Global Justice Now e da altre organizzazioni britanniche, sotto il titolo emblematico “Conti onesti 2017” (Honest Accounts 2017).
Il report afferma che nel 2015 il continente ha ricevuto 31 miliardi di dollari per rimesse degli emigranti, ma contemporaneamente ne ha persi 32 per espatrio di profitti da parte delle imprese estere operanti sul suo territorio.
Andando a spulciare il rapporto si scopre che proprio nel settore dei diamanti e delle estrazioni minerarie 101 compagnie quotate a Londra controllano qualcosa come 105.000 miliardi di dollari di risorse in Africa in cinque materie prime: petrolio, oro, diamanti, carbone e platino. Di queste 101 aziende, 25 hanno sede in un paradiso fiscale.
Il report di Global Justice Now stima che tramite il sistema della fatturazione mendace, ogni anno le multinazionali trasferiscano abusivamente 67 miliardi di dollari dall’Africa ai vari paradisi fiscali.
Oltre alla sotto-valutazione della merce esportata dai Paesi africani, un sistema collaudato consiste nella vendita di minerali, petrolio o derrate alimentari con una doppia fatturazione. La prima, emessa dall’impresa produttrice verso una filiale del gruppo localizzata in un paradiso fiscale, ha lo scopo di fare uscire ricchezza dai Paesi di origine dichiarando prezzi inferiori a quelli reali, in modo da pagare poche tasse e bassi diritti di estrazione. La seconda, emessa dalla filiale collocata nel paradiso fiscale verso il cliente finale, ha lo scopo di fatturare a prezzi reali e magari anche più alti in modo da trattenere i guadagni dove c’è una bassa tassazione dei redditi.
A quanto ammonti il gettito fiscale perso dagli Stati africani a causa della fatturazione mendace, nessuno lo sa di preciso, ma uno studio condotto dal-l’istituto americano Global Financial Integrity relativo al 2008-2010 stima che la perdita complessiva del periodo esaminato sia stata dell’ordine di 38 miliardi di dollari, all’incirca il 2% della spesa pubblica dell’intero continente.
Come ha scritto su Avvenire Francesco Gesualdi, autore in Italia delle guide del consumo critico, «ognuna delle pratiche abusive di spoliazione del continente ha gravi ripercussioni sulla condizione economica e sociale delle popolazioni». Dall’Africa ogni anno escono più risorse di quelle che ne entrano. E fra le prime c’è una fetta, niente affatto piccola, di ricchezze sottratte in modo illecito. L’Africa, ha scritto Gesualdi «è un corpo vivo dalle vene aperte e saccheggiate da poteri internazionali irresponsabili in accordo con altrettanto irresponsabili élite locali».