Un papà insegna a sua figlia l’Ave Maria in lingua cambogiana. E una frase dopo l’altra Gesù entra in quella casa
“Oh i nascondigli infiniti
fatti di nulla, tonfi, lampi, bisbigli
in cui ti celi e ti sveli.
E così il mondo esiste,
e con sgomento il mio occhio ti vede” (Giovanni Cristini, I nascondigli)
Da tempo cercavo l’occasione per scrivere sul rapporto fra preghiera e desiderio. Qualche settimana fa ho predicato gli esercizi spirituali a dieci seminaristi cambogiani – dieci per tutto il Paese! – e l’occasione è arrivata. Volevo introdurli all’esperienza della preghiera e ho pensato di farlo con l’aiuto di Zaccheo, come San Luca lo racconta (19,1-10) e sant’Agostino lo commenta.[1] Per sant’Agostino la preghiera è un gioco di sguardi. Gesù e Zaccheo si cercano, si spiano, si desiderano fino al momento dell’incontro. Almeno all’inizio, Zaccheo non parla, ma compie dei gesti attraverso i quali noi capiamo il suo desiderio di vedere Gesù. Impedito dalla folla, “superba” – scrive Agostino – che “come capita abitualmente in una ressa, impediva a se stessa di vedere bene il Signore” – sempre “la folla fa in modo che non si veda Gesù” – Zaccheo decide di salire sull’albero. “Non rattristarti – incalza Agostino – sali sull’albero dove per te Gesù fu crocifisso”, insinuando l’ipotesi che quel Sicomoro, sia in realtà un’immagine dell’albero della croce sul quale salire per vedere Gesù.
Prima di ogni formula, la preghiera è ‘desiderio di vedere Dio’. Altrove Agostino parla “di un’altra preghiera, quella interiore, che è senza interruzione, ed è il desiderio”.[2] Che bello! “Se continuo è il tuo desiderio, continua è pure la tua preghiera”, scrive il vescovo d’Ippona. Muoversi per le strade, camminare nella vita, con il desiderio di vedere Gesù. Questo significa quel “pregare incessantemente” raccomandato dall’apostolo Paolo. Ma come si fa senza dover rimanere in chiesa tutto il tempo? Desiderare! “Il tuo desiderio è la tua preghiera”. “Se non vuoi interrompere di pregare – scrive Agostino – non cessare di desiderare”. Dicevo allora ai seminaristi che bisognerà lavorare non tanto sulle formule e sui metodi della preghiera, ma sul ‘desiderio’. Perché non sia ridotto al ‘bisogno’ ma rimanga aperto al mistero di Dio, al di là di ogni fame. Infatti, se il bisogno appartiene all’ordine dell’assimilazione e della consumazione dell’oggetto desiderato, pensiamo alla solita tentazione di trasformare le pietre in pane, “diventa allora decisivo preservare il desiderio come desiderio dell’Altrove (…) salvare il desiderio come preghiera”, salvare cioè quella “dimensione siderale che il desiderio porta con sé nel suo etimo”.[3] Non v’è oggetto sufficiente, a meno che il desiderio non venga ridotto a bisogno, come fanno tanti discorsi pubblicitari, tutti politicamente corretti. Che finiscono col lasciare la fame sola a decidere il nostro destino. Come si fa – mi chiedo – a salvare i nostri figli da questa riduzione? Dall’invadenza del mercato che riduce l’ampiezza del nostro cuore alle fami della nostra pancia?
Tempo fa, ascoltando alla radio una trasmissione in lingua italiana, sono stato disturbato da un’inserzione pubblicitaria, come tante, su “le nuove diete per cani e gatti senza cereali e gluten-free, più digeribili e con un appetibilità straordinaria… parlane con il tuo veterinario di fiducia”. Se mi fossi trovato in Italia non ci avrei fatto caso, ma l’aver ascoltato questo messaggio qui in Cambogia mi ha dato fastidio. Lasciatemi per favore il beneficio dell’errore e chiedo scusa a tutti coloro che la pensano in modo diverso; nel mio caso mi sono sentito incatenato non solo alle mie fami, ma anche a quelle degli animali che mi vivono attorno. A lungo andare, sembra esserci qualcosa che ci induce a considerare quelle fami, e tanto più le nostre, come una priorità.
Sento un’enorme sproporzione fra gli strumenti educativi di cui disponiamo e l’invadenza mediatica del mercato. È una lotta impari per tanti papà e tante mamme, per noi sacerdoti e persone consacrate, non del tutto liberi dallo stesso giro di immagini e idoli.
Questa volta alla semplice lettera allego anchequesto file audio.
Contiene la registrazione della voce di un papà che insegna la preghiera dell’Ave Maria in lingua cambogiana alla figlia più piccola. Non capirete se non l’alternarsi della voce adulta con la voce bambina che sembra spalancare il Cielo, verso una dimensione siderale, autentico dono dall’alto. Durante la registrazione lo sguardo del papà si intrecciava continuamente con quello della figlia e viceversa, quasi che volessero leggere il labiale per pregare/desiderare/camminare all’unisono, entrambi cullati dalle parole dell’Ave Maria. Entrambi fatti certi di un destino che resiste allo scempio degli amori umani, troppo affamati per darci giorni di pace. Di fronte a quel papà e a sua figlia, la preghiera mi è sembrata un gioco di sguardi e la loro casa un nascondiglio infinito.
Tornando a Zaccheo, ma senza allontanarci da quel papà, possiamo intendere la preghiera come una casa nella quale entra Gesù. “Oggi la salvezza è entrata in casa tua”, dice Gesù a Zaccheo. Quando un papà insegna ai figli a pregare, una frase dopo l’altra, senza perdere alcun frammento di Cielo, allora Gesù entra nella casa, nella vita delle persone anche e soprattutto in villaggi dove spesso bisogna rinunciare alla soddisfazione del “tutto e subito”. Ma è qui che vorrei restare ancora per un po’, fino a che ciascuno dei tanti bambini intorno abbia imparato le parole dell’Ave Maria. “Qui dove l’erba è intatta / e la natura è pura” – scrive il poeta Giovanni Cristini. Qui dove “Dio scricchiola nel tarlo, / si muove nella foglia, / nell’elitra che vibra, / nella scaglia / della membrana lucida che freme / sul minuscolo addome. / Nel fiume senza fine che ci porta / verso la soglia che abbaglia, / la soglia che invisibile si staglia / oltre il fuoco che estua nel silenzio» (da Cicala in un boschetto).
Se non avessi quello stesso desiderio di vedere Dio (qui!), potrei anche andarmene. Zaccheo mi insegna, ci insegna, invece a desiderare/pregare, a cercare, quasi scrutare, spiare, la presenza di Dio nei suoi nascondigli. Per Agostino però la stessa visione di Dio nasce da un essere prima visti da Lui. “E il Signore vide proprio Zaccheo. [Zaccheo] fu visto e allora vide; ma se non fosse stato veduto, non avrebbe visto”. (…) Siamo stati veduti perché potessimo vedere; siamo stati amati affinché potessimo amare. Oh, il mio Dio, la sua misericordia mi precederà sempre”, conclude Agostino. In questo senso la preghiera è un gioco di sguardi, essere visti dal Signore e così poterlo vedere. C’è una reciprocità senza la quale non c’è incontro, non c’è vis-a-vis. Fino a vedere se stessi nella Sua luce, come Zaccheo che sotto lo sguardo luminoso di Gesù vede meglio anche la sua stessa vita: “se ho frodato qualcuno restituisco quattro volte tanto” – conclude – improvvisamente attratto da un ideale di bene mai sentito prima. Ben oltre quel puro sentire di pancia che tanto danno fa alle nostre persone più care.
Domani i nostri ragazzi di prima media cominciano le lezioni. Aspettavamo gli ispettori del Ministero per l’Educazione che dalla capitale Phnom Penh venissero a fare il sopraluogo presso la nostra scuola, per le ultime firme e concessioni, ma non sono arrivati. “Siete troppo lontani!”, ci hanno detto. Dopo averli attesi all’appuntamento concordato, con una telefonata ci hanno informato che gli ispettori, arrivati a metà del percorso, non avrebbero proseguito per via delle condizioni della strada che in realtà a noi non sembravano così pessime. Il villaggio dista circa 4 ore di macchina da Phnom Penh in direzione nord-est, ma la pioggia e, dicono loro, le pessime condizioni della strada, li hanno scoraggiati. Eppure noi eravamo lì. Ci siamo chiesti che cosa distingueva così clamorosamente il nostro giudizio dal loro? Perché ciò che per noi sembrava così semplice, per altri risultava impraticabile al punto da tornare indietro? Il villaggio è senz’altro lontano, ma non è questo il punto. La geografia, il tempo atmosferico, i mezzi di trasporto, sono tutti fattori accidentali. Noi eravamo lì perché desideravamo esserlo. Tutto qua! Questa è la differenza tra noi e loro, il desiderio di esserci. Non ci importa essere così lontani dalla città e ritrovarsi infangati in questo anonimo angolo di Cambogia. Il desiderio di vedere Dio ci spingerebbe ovunque. Non così per chi svolge un compito d’ufficio. Noi comunque andiamo avanti a cercare questi “nascondigli infiniti / fatti di nulla, tonfi, lampi, bisbigli / in cui ti celi e ti sveli. / E così il mondo esiste, / e con sgomento il mio occhio ti vede”.
[1] Agostino, Sermones 174, 2-5. In http://www.augustinus.it/italiano/discorsi/discorso_225_testo.htm
[2] Agostino, Commento sui salmi, 37. In http://www.gliscritti.it/preg_lett/antologia/pregare_incessantemente.htm
[3] M. Recalcati, Ritratti del desiderio, Milano 2012, 120.