FRONTIERA OIAPOQUE
Papa Francesco ci invita a essere Chiesa in uscita. Così, nella nostra missione di frontiera abbiamo preso a cuore il problema dei cercatori d’oro
La situazione dei cercatori d’oro è più drammatica in Suriname, diocesi di Paramaribo, per il numero considerevole di cercatori – circa 20 mila – quasi tutti brasiliani. Lavorano in posti di difficile accesso e la Chiesa fa fatica ad arrivare fino a loro. I padri e le suore operano in città e i laici non sono sufficientemente missionari.
I cercatori d’oro che lavorano in Suriname hanno lasciato la famiglia in Brasile e sperano di migliorare la propria situazione economica. Però devono consegnare il 70% del prodotto ai proprietari dei macchinari che danno loro lavoro, da mangiare e un posto per dormire. Chi possiede il terreno pretende un altro 10%. In più c’è la “tassa” da pagare per non essere assaliti durante il viaggio per portare in città i risparmi rimanenti. La Chiesa non arriva dove lavorano i cercatori d’oro. Parlo della Chiesa cattolica. Gli evangelici, invece, sono presenti. Noi lavoriamo con l’appoggio del vescovo e della Commissione giustizia e pace, per sensibilizzare il clero e i laici all’impegno missionario.
«Andate nel mondo intero perché tutti, principalmente chi ha la vita difficile, si senta amato da Dio e seguito dai fratelli», dice Papa Francesco. E ancora: «Preferisco una Chiesa sporca e infangata perché vive, e va alla ricerca del popolo a una Chiesa pulita e profumata che rimane in casa».
Adesso in Suriname i cercatori d’oro perlomeno non sono invisibili. C’è coscienza che esistono e aspettano la Buona Notizia e la solidarietà dei fratelli cattolici. Sono iniziati incontri in tutte le parrocchie per sensibilizzare le comunità e qualcosa sta cambiando.