Dopo la convocazione di un Sinodo speciale per l’Amazzonia, un missionario del Pime, che vi opera da molti anni, individua le sfide principali per la Chiesa, a cominciare dagli indios
Papa Francesco ancora una volta ha sorpreso il mondo. E, soprattutto, l’Amazzonia. Il 15 ottobre, dopo la Messa durante la quale ha canonizzato trenta martiri del Brasile, ha annunciato la convocazione in Vaticano di una Assemblea sinodale panamazzonica per l’ottobre 2019.
Lo stesso Papa ha definito le finalità di questo grande evento: «Individuare nuove strade per l’evangelizzazione di quella porzione del Popolo di Dio, specialmente degli indigeni, spesso dimenticati e senza la prospettiva di un avvenire sereno, anche a causa della crisi della foresta amazzonica, polmone di capitale importanza per il nostro pianeta».
Ci sono interessi enormi in questa regione sia per depredarla sia per difenderla. Il Papa parla di “crisi della foresta amazzonica” e vuole ascoltare i vescovi di tutta la regione. Ma vuole soprattutto che quella dell’Amazzonia sia una Chiesa aperta e che i vescovi siano coraggiosi e creativi.
L’Amazzonia è già in cammino: esiste una Rete ecclesiale panamazzonica (Repam), che è molto attiva e sta riuscendo a coordinare i nove Paesi nei quali è presente la grande foresta. E la Chiesa brasiliana sta dando un’attenzione particolare a questa terra e alla sua gente. Quello che il Papa propone è di indicare ora nuovi cammini di presenza e di evangelizzazione. Questo significa innanzitutto tradurre in pratica l’inculturazione del Vangelo nelle culture indigene.
Il Papa aveva già espresso la sua grande attenzione per questa regione nella Laudato si’, l’enciclica che, più di ogni altra, le popolazioni amazzoniche hanno sentito vicina a loro. Forse quello che ci si aspetta dal Sinodo è che coinvolga il maggior numero di persone possibile impegnate nella difesa della terra, nel garantire il suo futuro e quello delle popolazioni che ci vivono; ma anche la ricerca di proposte alternative per uno sviluppo sostenibile e un cambiamento radicale di mentalità.
Era stato proprio Francesco a ipotizzare un Sinodo panamazzonico nel corso di una recente visita ad limina dei vescovi peruviani, come ha rivelato il presidente della Conferenza episcopale di quel Paese, monsignor Salvador Pineiro García-Calderón, aggiungendo che «la necessità di fare fronte alla globalizzazione e di indagarne le cause, la presenza di progetti estrattivi sempre più grandi, ci chiedono di promuovere reti». E ancora: «Il Papa ci ha detto che è molto importante che ci troviamo tra noi vescovi dell’Amazzonia, per elaborare linee comuni ed esprimere la ricchezza non soltanto ambientale, ma dei popoli di queste terre».
Uno dei grandi problemi della Chiesa amazzonica è la scarsità di sacerdoti e soprattutto la mancanza di un clero indigeno. Il cardinale Claudio Hummes ha proposto, oltre alla formazione di ministri ordinati locali, di creare un clero autoctono e addirittura indigeno, che possa prendersi cura delle comunità sia nei posti più isolati che nelle periferie urbane.
Tutti i vescovi della regione sono d’accordo sul fatto che l’intervento più importante è proprio la promozione di un “volto amazzonico” della Chiesa, a partire da un clero nato nella regione, coinvolto realmente nella cultura, nella storia, nei problemi, nei sogni e nei progetti del popolo amazzonico, includendo in modo particolare l’universo dei popoli indigeni, originari di lì. Nell’Amazzonia vivono circa 900 mila indios appartenenti a 240 gruppi diversi, con proprie lingue e culture.
Il Papa sottolinea la necessità che la Chiesa trovi forme nuove di evangelizzazione, interrogandosi su come annunciare la Buona Notizia tra i popoli nativi, senza che entri in contrasto con la loro religione tradizionale e la loro visione del mondo. È necessario che la Buona Notizia si sposi con le radici indigene fino a fondersi e ricrearsi. È il cammino dell’inculturazione del Vangelo, cammino chiaro nei documenti della Chiesa, ma difficile da realizzarsi nella pratica. Anche perché i protagonisti del processo di inculturazione devono essere innanzitutto gli stessi indios. Per questo, però, bisognerebbe investire di più nel prepararli a gestire loro stessi la Chiesa indigena.
Vangelo e culture dei popoli nativi, spogliati dai condizionamenti storici e da visioni unilaterali e cristallizzate, sono alquanto vicini. Gli indios – e principalmente i popoli andini – concepiscono, da tempo immemorabile, la vita e il progetto di vita come Suma Kawsay (“Ben Vivere”), nel quale il bene comune prevale sull’interesse personale. Questo modo di pensare e di vivere è molto più vicino al Vangelo del modello oggi imperante, che minaccia la distruzione del pianeta. La nostra società ha bisogno di trovare alternative e per questo può imparare dai popoli indios. Anche la nostra Chiesa deve diventare più “cattolica”, cioè più aperta alla diversità, perché la vera unità è fondata sul pluralismo. Deve ripetere il miracolo della Pentecoste: capirci e essere uniti, parlando ognuno la propria lingua.
Il processo di inculturazione in Amazzonia dovrà necessariamente essere opera degli stessi indios. È un cammino che esige la crescita e l’autonomia della Chiesa indigena. E questo vuol dire dirigenti e clero autoctoni.
Finora la Chiesa esige dagli indios chiamati al sacerdozio l’obbligo del celibato, nonostante non sia accettato in molte culture, dove i celibi non sono considerati uomini adulti e una preparazione seminariale che li isola per anni dalla comunità di origine.
Il Sinodo panamazzonico apre prospettive nuove in questo campo, principalmente a partire dal pensiero papale. Mons. Erwin Krautler, in un’intervista di qualche anno fa, raccontava il suo incontro con Papa Francesco, in cui affrontava questo problema. Francesco spiegò che i vescovi locali, che conoscono meglio le necessità delle loro comunità, dovevano avanzare proposte concrete. Il Papa ricordava anche la proposta di mons. Fritz Lobinger, che parlava della possibilità di nominare un gruppo di viri probati come “sacerdoti delle comunità”, in un certo senso riprendendo la distinzione esistente nella Chiesa delle origini tra i “padri paulini” (come Paolo celibi, itineranti e fondatori di comunità) e “corinzi” (leader sposati, residenti all’interno della comunità di cui sono responsabili, come gli anziani della Chiesa di Corinto). I ministri, una volta scelti e ordinati nella comunità e da parte della comunità, formano “gruppi presbiteriali” al servizio della vita comunitaria, celebrando principalmente l’eucarestia. Devono vivere del proprio lavoro, realizzando il proprio ministero a tempo parziale, con una formazione adeguata. Il punto fondamentale è considerare questo ministero come un servizio per la comunità e non come uno status individuale.
Il secondo obiettivo sottolineato dal Papa nell’indire il Sinodo è la “crisi della foresta amazzonica”. È innegabile oggi un interesse enorme per questa ragione. Tutti conoscono l’importanza dell’Amazzonia sia come polmone verde dell’intero pianeta, sia per la biodiversità che ospita.
Tra il 2000 e il 2007, l’Amazzonia brasiliana è stata deforestata a un tasso medio di quasi ventimila chilometri quadrati all’anno. In questo lasso di tempo, quindi, circa 150 mila chilometri quadrati di foresta sono andati perduti: un’area pari alla superficie della Grecia. La causa principale della distruzione della foresta amazzonica è l’allevamento bovino. Un’altra causa è la monocoltura, specialmente la coltivazione della soia per l’esportazione. Negli ultimi tempi, le grandi imprese minerarie fanno pressioni sul governo che sembra incapace di resistere alla forza dei grandi interessi economici internazionali; le multinazionali vogliono espandersi anche nella terra indigena e nelle aree protette. Promettono al governo un aumento del Pil e lo ricattano controllando molti deputati e senatori.
Il governo brasiliano ha “sacrificato” una delle maggiori riserve naturali dell’Amazzonia, autorizzando lo sfruttamento minerario di un territorio considerato ricco di giacimenti di oro e rame. Il provvedimento colpisce la Reserva Nacional de Cobre e Associados (Renca), area di 46 mila chilometri quadrati – più grande della Danimarca. Il governo investe anche nella costruzione di infrastrutture per poter vendere i minerali e i prodotti agricoli.
Nell’enciclica Laudato si’ il Papa sostiene la necessità di un ripensamento o meglio di una vera “conversione”: ogni pretesa di migliorare il mondo comporta cambiamenti profondi «nello stile di vita, nei modelli di produzione e consumo, nelle strutture consolidate di potere». E aggiunge: «Quando si afferma una visione della natura unicamente come oggetto di lucro e interesse, questo provoca conseguenze gravissime per la società. La visione che difende l’arbitrio del più forte favorisce enormi disuguaglianze, ingiustizie e violenze per la maggior parte delle persone, perché i prodotti della terra diventano proprietà di pochi che li utilizzano a proprio piacimento».
Il Papa si preoccupa di unire tutta la famiglia umana nella realizzazione di uno sviluppo sostenibile e integrale. Il Sinodo dell’Amazzonia sarà un appello che la Chiesa rivolge non solo ai suoi fedeli, ma al mondo intero. In questo senso la Chiesa ha una grande responsabilità. Ma questa è certamente una grande missione nell’epoca moderna.