In un villaggio del Sud dell’India, l’incontro tra un missionario e un malato di lebbra ha dato vita a un’esperienza di riscatto che vede protagonisti gli stessi malati. Come racconta Papaiah
da Kurnool (India)
Colpiscono la pulizia, l’ordine e la dignità del villaggio, così come la fierezza di giovani (sani) ed anziani (ammalati). Siamo ad Adarsha Nagar, un villaggio per lebbrosi di 53 casette per altrettante famiglie, nei pressi di Kurnool nel Sud dell’India. Succede quando l’attività missionaria e umanitaria incontra la dedizione e la volontà di riscatto di persone colpite da una malattia devastante come la lebbra. Il governo indiano dichiara ufficialmente che è stata “sconfitta” da una quindicina d’anni. Nella realtà, però, non è così. Papaiah Mavuluru ne è un esempio vivente. Ha scoperto di avere la lebbra nel 1972, quando era poco più che ventenne. Ha vissuto l’abbandono e la disperazione. Ma ha saputo anche reagire, grazie al supporto di un missionario, e alla sua voglia di dare una seconda chance a se stesso e ai suoi figli. Ora Papaiah è responsabile di quello stesso villaggio dove, da tante storie di discriminazione, sta nascendo una nuova generazione di giovani istruiti, pienamente inseriti nella società e capaci di pensare e costruire un futuro di dignità e speranza per tutti.
«Quando ho scoperto di avere la lebbra – racconta Papaiah – ero sposato, ma senza figli. Avevo un lavoro e abitavo a Guntur nello Stato di Andhra Pradesh. Quando mi sono ammalato, i miei mi hanno mandato via. Nessuna famiglia tiene in casa un lebbroso». In un contesto ancora fortemente comunitario come quello dell’India profonda, da soli non si è nessuno. Peggio, da soli e devastati da una malattia deturpante come la lebbra, che porta con sé anche un forte stigma sociale, si finisce quasi inesorabilmente emarginati e indesiderati, abbandonati come rifiuti. «Vuol dire essere isolati dal resto della società – ricorda Papaiah -. Nessuno ci avrebbe più invitati da loro e nessuno avrebbe più varcato la soglia della nostra casa. Per questo, sono andato a Kurnool, una cittadina un po’ più a sud, non troppo lontana. Non sapevo come sopravvivere. Ho pensato persino di suicidarmi. Poi un gruppo di mendicanti mi ha accolto e ho cominciato a vivere con loro…».
Papaiah però non si arrende alla disperazione, anche se a quel tempo, per lui, la prospettiva di una vita normale sembrava del tutto impossibile.
«Vivevo una vita che mi sembrava senza speranza – ci dice -. Poi, nel 1991, la svolta, grazie all’incontro con padre Francesco Raco, un missionario del Pime, che allora lavorava nella diocesi di Kurnool. Mi sono confidato con lui. Gli ho detto che non volevo più continuare a vivere così».
Padre Raco aveva cominciato a interessarsi dei malati di lebbra e aveva deciso di fare qualcosa per loro e con loro. Una piccola “rivoluzione” perché, nella sua visione, i lebbrosi non dovevano essere solo “destinatari” di aiuto, ma protagonisti del loro riscatto.
«Padre Francesco – continua Papaiah – mi ha detto che, se fossi stato onesto e leale, avrei potuto essere la persona adatta al suo progetto, avrei potuto dargli una mano». Non gli sembrava possibile. Lui, trattato come uno scarto, si trovava di fronte a un’opportunità del tutto inattesa: «Mi ha insegnato a battere a macchina, a scrivere in inglese, a compilare i libri contabili. E così ho ricominciato anche a guadagnare qualche soldo». Con la formazione e il lavoro, Papaiah ritrova dignità e fiducia in se stesso. Non solo. Padre Raco lo coinvolge in un grande progetto comune.
Continua Papaiah: «Abbiamo cominciato a lavorare insieme e abbiamo realizzato Adarsha Nagar, un villaggio per malati di lebbra con 53 casette per altrettante famiglie. E anche per me è cominciata una nuova vita. Mi sono risposato con Mogilamma, pure lei ex lebbrosa. Abbiamo avuto due figli, un maschio e una femmina, Karthik e Sunitha».
Come tutti gli altri bambini del villaggio, hanno potuto studiare sino alle scuole superiori e persino frequentare l’università. Un’altra bellissima possibilità di riscatto e un grande motivo di fierezza sia per loro che per le loro famiglie. «Sunitha – dice orgoglioso Papaiah – ora è sposata e abita a Hyderabad, mentre Karthik vive ancora qui con noi».
Oggi il villaggio conta circa 140 abitanti di cui 46 malati di lebbra. Gli altri sono i loro figli. Papaiah si occupa della contabilità ed è responsabile dell’organizzazione generale. Un ruolo di grande responsabilità, anche perché padre Francesco Raco è stato trasferito ormai da diversi anni, prima in un’altra missione in India e poi in Papua Nuova Guinea.
«Padre Raco continua ad aiutarci, soprattutto attraverso alcuni benefattori americani – conclude Papaiah -. Ma in sua assenza, la mia responsabilità è aumentata molto. Non è facile, ma sono davvero orgoglioso di poter realizzare qualcosa di buono sia per me e la mia famiglia sia per altre persone che si trovano nelle nostre stesse condizioni di emarginazione e rifiuto. Soprattutto sono felice che i nostri figli siano tornati a essere cittadini rispettati e accolti nella società. Per tutti noi questa è la più grande gioia e soddisfazione».