Padre Gian Paolo Gualzetti del Pime ha partecipato agli incontri con papa Francesco il primo dicembre insieme alle lavoratrici del tessile ospitate al “Centro Gesù lavoratore” di Zirani, nella cintura industriale a nord di Dacca.
«Sono rientrato a Zirani dai due giorni a Dhaka con il papa Francesco. Sono stati giorni carichi di fraternità e di unità, che hanno ben colmato le fatiche dei preparativi». Lo scrive dal Bangladesh padre Gian Paolo Gualzetti, missionario del Pime a Zirani, nella zona industriale della capitale del Bangladesh dove si concentrano le aziende del settore tessile. E proprio da questa zona di periferia padre Gian Paolo è partito insieme a 1300 persone per partecipare agli incontri con papa Francesco, che si sono svolti l’1 e il 2 dicembre.
«A Zirani fino a mezzanotte di giovedì 30 novembre il portone era aperto per accogliere i ritardatari che volevano il pass d’ingresso o per dare un letto a chi aveva difficoltà di trasporti, visto che la partenza dei bus prenotati era per le 5 del mattino – racconta padre Gian Paolo -. Non so i numeri dei presenti ai diversi incontri che la stampa ha dato (80.000 – 60.000), di preciso so che da Zirani 1300 sono partiti per incontrare il Papa. Per fortuna la nebbia non era fitta e quindi in meno di un’ora siamo arrivati a destinazione per affrontare i sofisticati controlli per la sicurezza ai sei ingressi, una bella coda di ben due ore. Ma tutto è stato vissuto con lo spirito del pellegrinaggio (Sopra: il gruppo delle giovani lavoratrici del nostro hostel)».
Anche durante l’incontro ecumenico nel campo da gioco del seminario sul retro della Bishop House di Dacca i controlli non sono mancati, «ma una volta entrati abbiamo gustato questa serata con il Papa – continua padre Gualzetti -. Ben preparata anche l’attesa, con canti e danze tipiche da tutte le regioni del Bangladesh. I discorsi e le preghiere dei diversi leaders religiosi e sociali hanno dato ancora una volta la prova che il Bangladesh ha questa anima di tolleranza. Anche papa Francesco ha gettato un altro seme per promuovere la pace e l’armonia tra i popoli volendo incontrare personalmente tre famiglie dei Rohingya e chiedendo il loro perdono».
Sono stato contentissimo che la mia cara amica giapponese e compagna di corso di bengalese Naomi, sia riuscita a portare i ragazzi e le ragazze disabili di diverse religioni ospitati dalla comunità dell’Arche di Jean Vanier con sede a Mymensingh, di cui è la responsabile. Ci teneva molto che la comunità potesse incontrare il papa Francesco e il suo sogno si è realizzato (qui a sinistra il gruppo delle persone disabili di Rajshahi con suor Dipika).
Nella mattina del 2 dicembre si è svolto «l’incontro più familiare» di papa Francesco, quello con i religiosi, continua a raccontare padre Gian Paolo: «Ben preparato il momento di attesa e ancor più bello il clima che si è creato in mezzo a noi, con il Papa che ascoltava le diverse testimonianze: un sacerdote diocesano, un missionario, il nostro padre Franco Cagnasso del Pime, una giovane suora, un vecchissimo, ma vivacissimo fratello con ben 64 anni di professione responsabile di un centro di spiritualità nella diocesi di Chittagong e un seminarista tribale. E ogni volta il Papa andava incontro a salutare i diversi testimoni, a volte scendendo lui le scale. Come sempre sa uscire con tatto dai protocolli e quindi le otto pagine preparate per il suo discorso in italiano le ha affidate al nostro cardinale per la traduzione in bengalese e l’invio a ciascuno di noi, e ha iniziato a parlare a braccio in spagnolo con la traduzione simultanea in inglese. Un po’ come fa a Santa Marta: un immagine, tre punti e la conclusione. L’immagine tratta dal profeta Isaia – quella di una realtà piccola che diventerà grande – l’ha applicata alla chiesa anche del Bangladesh, dove il seme è dono di Dio, la crescita è dono di Dio, a noi spetta la cura di questa crescita. E da buon padre (gesuita) ha indicato tre punti: la preghiera per affermare questo primato di Dio nella nostra vita, il discernimento per aiutare questa crescita sapendo distinguere/chiamare per nome il buon grano dalla zizzania, e da ultimo curare la fraternità tra noi evitando il nemico principale che ci fa diventare come un terrorista che, con la lingua, lancia bombe per abbattere il fratello: il nemico numero uno è il gossip, che si può tradurre con il pettegolezzo, la diceria, la maldicenza, che si annida anche nella Chiesa, e cioè nelle nostre comunità, seminari, conferenze episcopali, Nessuno è esente da questo nemico, che si può tenere a bada con la preghiera, il discernimento e l’amore reciproco che sa tenere a freno la propria lingua perché vuole anche il bene dell’altro. Compito non facile, ma non impossibile. Parole concrete e paterne che ci sono state consegnate da un fratello nella fede e che speriamo illuminino la vocazione di ciascuno di noi affinché la felicità del Vangelo riempi e consoli i nostri cuori».
«Agli amici ho mandato una foto (vedi a destra) che sulle prime volevo cancellare dalla memoria della macchina fotografica perché non era a fuoco – conclude padre Gian Paolo -, ma puoi mi sono detto che rappresenta bene il nostro papa Francesco, così sempre in movimento verso gli ultimi e difficile da inquadrare in uno schema come a qualcuno piacerebbe molto, ma lui invece si lascia trasportare dal Vangelo e dal soffio della spirito. Preghiamo per lui affinché il Signore continui a donargli le sapienti ispirazioni che guideranno la nostra chiesa ad essere sempre più madre e maestra di misericordia ed armonia. Un grosso grazie a papa Francesco».