Il Paese asiatico è uscito da una situazione di stallo durata otto anni con l’approvazione della nuova costituzione e l’elezione di un moderato come premier. Ma intanto prosegue la rivolta dei Madhesi, un gruppo etnico del sud del paese. Sarà una delle sfide più complicate da affrontare nei prossimi mesi.
Domenica 11 ottobre, a quasi un mese dall’approvazione della nuova costituzione con un processo durato otto anni e che ha di fatto posto il paese in un limbo politico da cui è stato espulso di forza dal terremoto di aprile, Khadga Prasad Sharma Oli, leader del Partito comunista del Nepal (Unificato, Marxista-leninista) è stato eletto primo ministro dal parlamento. Un moderato, non uscito come altri leader della sinistra dalla guerriglia che per un decennio ha insanguinato il paese fino alla rivoluzione del 2006, la costituzione provvisoria e l’espulsione della monarchia. “La mia proposta è che tutti i partiti lavorino insieme e avanzino tramite consenso” ha indicato all’assemblea prima del voto. Di consenso e di progresso, il Nepal, vasto metà dell’Italia e con 27 milioni di abitanti, al fondo delle statistiche sociali dell’Asia, ha urgente bisogno.
Dopo anni di letargo interno e sostanziale disinteresse internazionale, il paese è riemerso dopo un duplice evento sismico, il 25 aprile e il 12 maggio, che ha avuto come conseguenza oltre 9000 morti, 27.000 feriti e una devastazione senza precedenti, almeno come impatto socio-economico. Una realtà grave e che si avvia verso un inverno che aggraverà i disagi, che collide con la mancata approvazione finora del piano per la rinascita, già finanziato dai paesi donatori per oltre quattro miliardi di dollari. Uno stallo che il governo attribuisce alla lunga vertenza sulla nuova costituzione.
“Nonostante i fondamentali economici restino solidi – segnala la Banca mondiale – il ritardo nell’applicazione degli investimenti pubblici rallenta sia lo sviluppo delle infrastrutture, sia la ricostruzione post-terremoto”. Le previsioni di una crescita per l’anno del 5% sono state ridimensionate al 3,4%, con la possibilità che, superata questa impasse e risolti altri problemi che peraltro incentivano una forte emigrazione, l’economia riprenda slancio per crescere del 5,5% di media nel biennio 2016-17. Anche per le previsioni di consistenti investimenti.
La ricostruzione, d’altra parte, come pure il completamento di nuovi impianti idroelettrici, il rilancio dell’occupazione e la qualificazione professionale sono elementi che, se ignorati, potrebbero portare a danni consistenti. A ricordarlo, le rimesse dall’estero, che valgono il 29% del Pil nepalese e lo hanno tenuto a galla anche in un drammatico 2015.
Intanto prosegue la contesa nel Sud del paese, dove la popolazione Madeshi, affine agli indiani d’oltreconfine, è inamovibile sulla richiesta di una provincia autonoma negata dalla nuova carta costituzionale. Dopo che settimane di violenze hanno paralizzato il traffico merci, con un ruolo attivo dell’India favorevole all’autonomia, è chiaro che la vertenza va oltre il gioco politico. In bilico sono l’approvvigionamento di beni indispensabili ma anche i rapporti con New Delhi e la capacità del Nepal di garantirsi spazi di autonomia tra l’India che chiude il Nepal su tre lati e la Cina che ne sigilla i confini a settentrione.
Sul piano diplomatico una tensione che potrebbe diventare tempesta nella convinzione di Kathmandu che nella situazione molto giochi la volontà indiana di imporre nell’area confinaria una autonomia della popolazione Madeshi a essa favorevole. A segnalarlo l’ambasciatore nepalese a New Delhi, Deep Kumar Upadhyay. A inizio ottobre, parlando a una conferenza stampa nella capitale indiana. Upadhyay ha segnalato nella Cina “un ovvio partner se il blocco commerciale dovuto alle proteste in corso contro la nuova costituzione dovesse proseguire”.