Anche in Cambogia proprio alla vigilia di Natale in una delle nostre parrocchie abbiamo ricevuto la visita di alcuni funzionari governativi impegnanti nel censimento dell’area. Per mano di un dittatore o di una qualsiasi compagnia (telefonica) che prepara “le offerte a te dedicate”, il Potere ama contare, controllare, compiacersi dei numeri di cui dispone…
«…non smettere di guardare il cielo
ti assegna la precisa misura (…)
Dopo tanta aritmetica
la serenità dello zero».
Chandra Livia Candiani
Qualche giorno fa, presso una delle nostre piccole parrocchie, quella di Thmor Pech, abbiamo ricevuto la visita di alcuni funzionari governativi impegnati nel censimento dell’area. Volevano sapere quante fossero le maestre impegnate nell’asilo parrocchiale, quanti fossero i bambini iscritti e che tipo di attività svolgessimo, nell’asilo e nella parrocchia. Esattamente come «in quei giorni – racconta l’evangelista Luca – un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra» (Lc 2,1). Quello che altrove sarebbe stato considerato un normale atto amministrativo, qui in Cambogia, dopo la chiusura di uno dei quotidiani di lingua inglese (The Cambodia Daily, settembre 2017) e di alcune stazioni radiofoniche, dopo la sistematica ed efficace campagna della leadership al governo per la dissoluzione del partito di opposizione, questo essere venuti a contarci ha assunto il sapore ferroso del controllo, dell’esercizio di un potere cieco sulla nostra libertà. Eppure, grazie alla sua concomitanza con il Natale di Gesù, di fronte a questo censimento e alle tante domande dei funzionari, mi sono sentito sicuro. Sicuro, perché Dio conosce la storia degli uomini, ne conosce le movenze e i vizi.
Ora come allora, Dio sa che nella storia c’è sempre un’apparentemente invincibile Cesare Augusto che si mette a contare. Vuole i numeri, vuole sudditi o clienti, in Oriente come in Occidente. Per mano di un dittatore o di una qualsiasi compagnia (telefonica) che prepara “le offerte a te dedicate”, il Potere ama contare, controllare, compiacersi dei numeri di cui dispone. E noi tutti si sta al gioco, anzi, non potendone più fare a meno, abbiamo incominciato a volere che sia così, come fosse la nostra più autentica libertà. Il Potere addomestica, persuade, intrattiene. E piano piano, pur di avere quegli stessi numeri o esserne parte, anche noi siamo disposti a mentire, a tradire amicizie, a scendere a compromessi, a dimenticare le differenze più elementari, più naturali, come quella tra feriale e festivo, tra una telefonata e un incontro, o tra un Babbo Natale qualsiasi e il Verbo di Dio che si fa carne. Accolgo dunque volentieri l’invito di una poetessa che ho appena scoperto: «non smettere di guardare il cielo / ti assegna la precisa misura (…) Dopo tanta aritmetica / la serenità dello zero».
Da una decina di giorni ormai mi sono trasferito in un villaggio di provincia, sede della nuova parrocchia, dove sorge anche la piccola scuola media appena costruita: Lectio et Virtus in Cambogia! Qui per ora ci sono solo sei cattolici e spesso mi chiedo perché mai mi sia spinto così lontano, ai limiti estremi della campagna cambogiana. Gli studenti che vanno e vengono, puntuali e partecipi, ripagano abbondantemente i miei e nostri sforzi, mentre da che sono arrivato, tutti i giorni osservo i contadini che spandono nell’aia i chicchi di riso appena raccolti perché possano essicare prima della pilatura e la mattina presto, al passo con la mia preghiera, fanno il giro delle piantagioni di caucciù per raccogliere il lattice, pianto a gocce dagli alberi lungo la notte, per poi venderlo e farne giornata. Lungo la strada sterrata di fronte a casa invece, assisto a un gran via vai di patate trasportate al vicino punto di raccolta, o al gran via vai di mucche portate al pascolo da ciuffi di bambini che dopo la scuola, con vecchie bottiglie di plastica a tracolla, colme d’acqua di pozzo per dissetarsi lungo la via, e frustino alla mano per comandare le mucche più testarde, si sparpagliano lungo le piste che dal villaggio partono verso ovest, ritornando solo all’imbrunire. Tutto ciò che vedo, come brandelli di mondo, concorre a dirmi che sono qui per udire – suggerisce il poeta Gerard Manley Hopkins – «un’eco del dolce essere della terra all’inizio». In questo villaggio che sembra un presepe allestito da sempre, ben prima di me, mi «godo la terra / bruna, e l’indistruttibile / certezza delle sue cose» (Carlo Betocchi).
Eppure se mi fermassi solo a questo tradirei la mia vocazione missionaria e più ancora il mistero del Natale che celebriamo, privando la mia gente della ricchezza più grande, la conoscenza di Gesù: «Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori – scrive San Paolo – e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo (…) perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio» (Ef 3,17-19). V’è infatti qualcosa qui che eccede la natura, le stagioni, la terra. Che va oltre gli automatismi della storia, i calcoli e i censimenti degli uomini. Vi sono un’ampiezza, una lunghezza, un’altezza e una profondità che non sapremmo darci se Cristo non fosse nato. Per questo – scrive San Gregorio Naziazieno – Gesù nascendo «chiede in elemosina la mia natura umana perché io diventi ricco della sua natura divina». Non quindi per una prevedibile «funzione della natura» o un automatismo del progresso umano, ma per un miracolo di Dio. Quel miracolo che si rinnova nella missione di San Paolo e nella missione della Chiesa intera: generare Cristo nel cuore dei credenti. In un passo tra i più densi, San Paolo paragona la sua missione a quella di una madre che sta per partorire, come se la missione dell’apostolo fosse una lunga gravidanza e un incombente natale: «Di nuovo partorisco nel dolore finché non sia formato Cristo in voi!» (Gal 4,19) – scrive San Paolo – a dire che la sua missione ha a che fare con la generazione di una vita, quella di Cristo nel cuore dei credenti. Anche e sopratutto in epoca di censimenti.
Ieri sera Sim, il preside della scuola, mi diceva che il manipolo di ragazzi che vive con noi e frequenta la prima media, vorrebbe raccogliersi in preghiera tutti i giorni per qualche istante. Nessuno di loro è cristiano, ma ci sono un’ampiezza, una lunghezza, un’altezza e una profondità che sentono a portata di mano. Questo è il mistero del Natale da queste parti, incipiente come una gravidanza che preannuncia una nascita, senza numeri e con «la serenità dello zero».
Buon Natale a tutti voi cari amici!
Nella foto in alto: Padre Alberto con alcuni bambini dell’asilo di Thmor Pech