Il Centro Pime, l’eredità e la sfida di padre Gheddo

Il Centro Pime, l’eredità e la sfida di padre Gheddo

Un aspetto forse poco ricordato in questi giorni è il luogo da cui ha esercitato il suo servizio di animazione missionaria. E la sua morte non può che suscitare una riflessione sul futuro dell’animazione missionaria in Italia in un contesto sociale ed ecclesiale ora tanto mutato

 

La salma di padre Piero Gheddo riposa da ieri nel cimitero del Pime a Villa Grugana nel comune di Calco in provincia di Lecco. Non sono mancati i messaggi di condoglianze e partecipazione nei giorni scorsi. Molti di quelli che l’hanno conosciuto ne hanno parlato con riconoscenza e ammirazione. Il messaggio dell’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, e il pensiero conclusivo del vescovo officiante ai funerali, mons. Paolo Martinelli, hanno sottolineato in particolare l’influsso che Gheddo ha avuto sui giovani cattolici degli anni Sessanta e Settanta nella loro apertura all’universalità e alla missione.

Tra le tante considerazioni circa il lavoro di padre Gheddo tuttavia è forse mancato, e qui ci permettiamo in qualche modo di colmare la lacuna, il richiamo alla comunità e al luogo da cui ha esercitato il suo intenso servizio di animazione missionaria, vale a dire il Centro Missionario Pime di Milano. Oggi parlare di Centri missionari è quasi scontato. Ce n’è uno in quasi tutte le diocesi. Negli anni Cinquanta del secolo scorso invece voleva dire indirizzare l’animazione missionaria (fino ad allora “propaganda”) su un binario completamente nuovo. A volte non senza contrasti e incomprensioni con confratelli di altra età e sensibilità.

Ideatore e primo direttore del Centro Missionario Pime di via Mosè Bianchi, 94 a Milano fu padre Amelio Crotti (1913-2004), un missionario veneto espulso dalla Cina e rientrato in Italia nel 1954. Nel 1961 avvenne l’inaugurazione della nuova struttura con Gheddo già responsabile della stampa missionaria. Si può calcolare che almeno un centinaio di missionari abbiano lavorato al Centro per periodi più o meno lunghi in quasi sessant’anni. Oltre alla stampa missionaria (ora più ridotta quanto al cartaceo, ma integrata dall’online), il servizio è stato e rimane intenso nell’ambito dell’animazione giovanile, dell’educazione alla mondialità, della cultura orientale (museo), dell’approfondimento missiologico ed etnografico (biblioteca), della sensibilizzazione e raccolta fondi per le missioni, dell’animazione in gruppi, parrocchie, movimenti…

Per quanto ritiratosi da responsabilità dirette nel Centro missionario già dal 1994, la morte di padre Gheddo non può che suscitare una riflessione sul futuro dell’animazione missionaria in Italia in un contesto sociale ed ecclesiale ora tanto mutato. Anche lui aveva l’impressione che, nel complesso, le cose non andassero bene come in passato. Secolarizzazione, calo drastico delle vocazioni in Italia, interpretazione troppo generica dell’idea di missione erano forse i tre aspetti che più lo preoccupavano. Confidando tuttavia da credente nell’azione dello Spirito conservava serenità e fiducia. Nella Chiesa e nell’Istituto del passato facevano tutto i sacerdoti e i consacrati. Già negli anni Settanta, e ancor più in seguito, invece Gheddo inseriva nelle sue redazioni giornalistiche professionisti laici, in genere giovani che ora alle soglie della pensione lo considerano il loro maestro. Il Centro missionario Pime è oggi tutto composto da laici eccetto che per la direzione e l’animazione missionaria giovanile e vocazionale.

Nei tempi difficili, per altro, conta l’innovazione più che la celebrazione o peggio ancora la nostalgia del passato. Gheddo ha pubblicato articoli fino a sei giorni prima della morte dando prova del fatto che l’impegno missionario è intramontabile e ad esso va costantemente sensibilizzata la comunità cristiana. Un servizio a cui Gheddo e altri grandi animatori del passato hanno dedicato la vita; non solo un scampolo di essa. Il Centro Pime intende quindi attraversare il ventunesimo secolo accompagnando la missione e i missionari in modo ancor più convinto e organizzato, seppure in un tempo di minore disponibilità di uomini e di mezzi. Ma non di dedizione e di fiducia.