A volte i messaggi importanti passano attraverso strumenti silenziosi. Come l’ago e il filo, i tessuti, la pazienza.
È il caso delle arpilleras, opere di stoffa che le donne cilene hanno cucito negli anni Settanta per dar voce al loro dolore e al dissenso verso il regime di Pinochet, rappresentando attraverso un’arte popolare e tessile eventi traumatici vissuti quotidianamente come le torture, la sparizione dei propri cari o le file interminabili per il cibo e le violenze della polizia.
Una produzione organizzata attorno a laboratori artigianali fortemente sostenuti dalla Chiesa cattolica locale, in cui molte donne di Santiago hanno trovato un’occasione di sostegno economico, ma soprattutto lo strumento per trasformare un dolore e un ricordo privati in una memoria condivisa.
Arpillera è una parola spagnola che indica la tela grezza usata per i sacchi di mangime e gli imballaggi, il materiale base di queste creazioni di tessuto che vengono poi arricchite da pezzi di stoffa, filati, materiali vari come bastoncini, carta e plastica, per creare delle opere narrative dai colori intensi, con figure tridimensionali che escono dallo sfondo piatto.
Dal Cile questa forma di arte popolare ha raggiunto anche altri Paesi andini, arricchendosi di nuovi temi, più gioiosi e ricchi di speranza, come quelli a soggetto cristiano che prediligono in particolare gli episodi biblici dell’Arca di Noè e della Natività.
Il contesto naturale e paesaggistico in cui sono inseriti questi eventi è quello nostalgico legato alle terre di origine delle autrici: nelle Natività Gesù riposa in una capanna sulle rive del lago Titicaca, i visitatori arrivano cavalcando dei lama, i pescatori di canne guardano la stella cometa dalle loro canoe mentre i Magi attraversano le valli andine tra distese fiorite e bestiame al pascolo. Con pezzi di tessuto vivaci e materiale di scarto le arpilleras affidano la speranza del mondo a un piccolo Bambino.
E celebrano il potere dell’arte come atto di rinascita individuale e gesto creativo di memoria collettiva.