Gli ultimi campesinos nel deserto del Messico

Gli ultimi campesinos nel deserto del Messico

I piccoli villaggi degli indios tarahumara, impoveriti dal cambiamento climatico e dall’ingiustizia, sono la frontiera missionaria del gesuita Ricardo Greenley

Sabbia e deserto, villaggi e siccità. È il panorama che le popolazioni del Nord del Messico sperimentano quotidianamente, resistendo al cambiamento climatico che fa sentire prepotentemente la sua presenza. L’hermano Ricardo – fratel Ricardo Greenley, barba folta e bianca – lo sa bene. Origini irlandesi da parte di padre, messicane dalla madre, laico consacrato della Compagnia di Gesù, visita i contadini degli ejidos, villaggi in cui vivono dalle 20 alle 30 famiglie, condividendone gioie e difficoltà.

«Vivo nello Stato di Coahuila, una terra ai confini con il Texas. Accompagno la comunità di Parras nella preghiera, spostandomi tra le cappelle della parrocchia», racconta. Alla guida del pick-up, ogni settimana macina chilometri di strada tra General Cepeda e la Sierra Madre.
Nel villaggio di Huariche lo aspettano i contadini per pregare la Madonna di San Juan de Los Lagos nella loro cappella. Lasciata la strada asfaltata, ci addentriamo tra casupole precarie e strade scavate nella terra: in fondo alle viuzze, appare la cappella dipinta di azzurro e bianco, con addobbi di carta ritagliati dalle donne.

Nel 1988 Ricardo Greenley scelse di entrare nella Compagnia di Gesu. «Ero arrabbiato con Dio: “Perché fai morire i tuoi figli?”, dicevo. Vedevo desertificazione, carestia, morte, e non lo accettavo. Ma ho capito che anche Lui lottava accanto a noi – ricorda Ricardo -. “E tu che cosa stai facendo?”, mi sono sentito dire… Così ho riconsiderato la mia vita. Alla trasmissione 60 minutes ho visto un servizio di Ricardo Rocha, un giornalista messicano degli anni Ottanta. Raccontava degli indios tarahumara che stavano morendo di fame al confine con gli Stati Uniti: decisi di andare da loro. Vendetti tutto, comprai medicine per regalarle, e partii». Ed è lì che ha incontrato i gesuiti. «Bussai alla missione e mi fecero entrare», racconta. E dalla condivisione con gli indios è nata la sua vocazione.

Le comunità rurali come Huariche sopravvivono a stento e i missionari sono al loro fianco. «Sempre meno persone coltivano la terra. La siccità e la povertà dei mezzi impiegati hanno decimato la presenza degli agricoltori – spiega -. In tanti all’alba prendono il bus per le fabbriche di Saltillo, la capitale dello Stato, per lavorare nelle industrie di automobili e di apparati elettronici. Tornano la sera tardi, i paesi diventano dormitori. I figli vivono con i nonni, la famiglia si sfascia, perché anche le mamme sono lontane da casa per il lavoro».

Non è l’unico problema nel Nord messicano. Quest’anno le temperature sono salite sopra i 50 gradi. Come buona parte della frontiera con gli Stati Uniti, lo Stato di Coahuila ha una grande percentuale di territorio desertico: non piove più e il lavoro dei campi diventa sempre più difficile. I nuovi proprietari delle terre comprano grandi appezzamenti. Estraggono l’acqua dal sottosuolo – non sempre in maniera legale – e questo riduce ulteriormente le risorse idriche. «Vigneti e coltivazioni di noci sono irrigati, ma nei villaggi l’acqua scarseggia. Fanno piovere sulle loro coltivazioni il cloud seeding, l’inseminazione delle nuvole, una tecnica di stimolazione delle piogge sparando in cielo getti di ioduro d’argento o di ghiaccio secco (anidride carbonica allo stato solido) con i cannoni da terra».
Il cambiamento climatico in questa parte del Messico ha il volto di città come Torreon o Saltillo, con un milione di abitanti, che attraggono tutte le risorse. Hotel con piscine e nuovi vigneti pompano l’acqua che scorre sotto terra. Mentre lecchuguilla, maguei e origano – le piante autoctone che prima i contadini coltivavano – scompaiono.

«Oggi il comitato accompagna la Madonna in uno dei 52 ejidos della parrocchia» ci dice Ricardo, mentre passando nel villaggio saluta un gruppetto di uomini che siedono all’ombra. «Ya viene tu Madre, date prisa», dice loro dal finestrino («Sta arrivando vostra Madre, la Madonna, affrettatevi»).
Con catechesi, celebrazioni e tanto dialogo, i gesuiti accompagnano gli ultimi abitanti di questi villaggi. Discutere le dinamiche sociali è un compito che i religiosi portano avanti con i pochi e poveri allevatori rimasti. «Evan­gelizzare significa conoscere e seguire Gesù – commenta Ricardo -. Ma qui vuol dire anche difendere la vita, i diritti delle persone, la dignità umana, l’alimentazione, un tetto, l’istruzione, la terra che va tutelata». Cita l’enciclica Laudato Si’, ricordando che le città vicine stanno lottando per avere sempre più risorse idriche mentre la Conagua, la Com­missione nazionale dell’acqua, già nel 2020 dichiarava che il volume estratto era superiore alla capacità di ricarica.

La camionetta attraversa un territorio vasto, pieno di contrasti come tutto il Messico. Oasi verdi nel deserto, grazie alle falde sotterranee, solleticano la nascita di aziende e vigneti di ultima generazione. La denuncia alle autorità statali delle perforazioni illegali vede i missionari al fianco dei contadini.
A due chilometri dalla cappella di Huariche, Greenley e i campesinos dai cappelli bianchi stanno scavando solchi nel terreno. Si tratta di una tecnica sperimentale per favorire il rimboschimento e aumentare lo strato di umidità e limo. Favorirà la crescita di alberi, piante e vegetazione. È il cammino accanto a questi villaggi; con il Vangelo, ma anche il seme della terra, per sperare che presto torni a portare frutto.