Manila, un volto amico tra i vicoli degli ultimi

Manila, un volto amico tra i vicoli degli ultimi

La presenza dei missionari del Pime nelle periferie dell’immensa metropoli: dalla parrocchia di Parañaque, nata quarant’anni fa, alle nuove frontiere ancora più lontane dal centro dove continuano a giungere migranti interni

Da ogni isola dell’arcipelago a Metro Manila, la grande area metropolitana abitata oggi da più di 15 milioni di persone. Ammassate in periferie di vicoli stretti, che continuano a crescere anche oltre gli stessi confini amministrativi delle città. Se c’è un volto sempre più attuale per la missione della Chiesa nel mondo di oggi è la presenza nelle grandi periferie urbane. La sfida di essere Chiesa anche tra gli urban poor, gli ultimi arrivati nelle grandi città.

Non è una storia nuova per il Pime nelle Filippine: sono passati ormai quarant’anni da quando nel 1985, con padre Giulio Mariani e padre Gianni Sandalo, iniziò la storia di Nostra Signora degli Apostoli, la parrocchia affidata all’Istituto nell’area più vicina all’aeroporto internazionale di Manila. Quella – appunto – dove si insediava chi non sapeva dove andare. Un seme cresciuto: oggi la parrocchia del Pime a Parañaque è una grande comunità con le sue scuole, tante attività, ma anche sfide che restano immutate. Mentre la metropoli continua a crescere, spingendo anche l’Istituto ad aprire nuove presenze in aree ancora più lontane da Intramuros e Makati, i quartieri centrali di Manila.

«Parañaque è una delle 17 città che compongono l’area metropolitana – racconta padre Simone Caelli, 53 anni, valtellinese di Teglio, oggi parroco di Nostra Signora degli Apostoli -. Quanti siamo qui? Numeri precisi nemmeno le autorità locali li hanno: dicono 150 mila persone, qualcuno parla addirittura di 200 mila… La nostra è una parrocchia fatta di tre zone: ci sono le subdivision, cioè le aree residenziali dove vive chi sta meglio; c’è una zona commerciale con i magazzini delle ditte di trasporto. E poi c’è Caa, il sito dei terreni dell’agenzia aeroportuale che avrebbero dovuto rimanere liberi e che invece sono diventati l’area più popolata».

«All’inizio la gente entrò illegalmente – continua il missionario del Pime, che vive a Parañaque dal 2017 -. Poco alla volta, però, è stato tutto condonato: è diventato un bacino di voti per i politici. Oggi al suo interno vi sono anche i servizi pubblici: la grande scuola frequentata da 11 mila bambini, la stazione di polizia, i vigili del fuoco… Gli abitanti non sono necessariamente gente povera: sì, molte persone vivono con l’economia informale, ci sono quelli che sbarcano il lunario guidando tricicli che a volte non sono nemmeno loro. Ma a Caa abitano anche carpentieri, donne che lavorano come domestiche nelle subdivision, insegnanti, commercianti che hanno avviato piccole attività. E poi c’è chi lavora nei call center, spesso di notte sfalsando i ritmi di vita…».

Un’umanità variegata con i suoi tanti bisogni: «Le sacche di povertà estrema ci sono – racconta il parroco -. Siamo in una zona di Manila che ha il mare da una parte e la laguna dall’altra: quando arrivano le alluvioni distruggono le abitazioni. Oppure basta una malattia grave e la famiglia è sul lastrico. Poi ci sono i ragazzi che seguiamo con il programma di sostegno a distanza della Fondazione Pime, che qui chiamiamo Little Angels Club: forniamo materiale scolastico, divise, in alcune circostanze anche cibo. Un aiuto economico che attraverso la relazione diventa occasione di reciproco arricchimento».

Con padre Caelli oggi a Nostra Signora degli Apostoli ci sono anche altri due missionari del Pime: padre Nathi Lobi, thailandese, e padre Ravi Marneni, indiano: «Alla domenica celebriamo quindici Messe tra la chiesa principale e le cappelle, con una ventina di battesimi a settimana – continua padre Simone -. La tradizione cattolica è molto forte qui e la preparazione ai sacramenti è un impegno importante: non arriveremmo dappertutto senza l’aiuto fondamentale dei laici. Da anni possiamo contare su una rete di gruppi familiari, anche là dove non c’è un luogo di culto. Mostrano che la nostra comunità è fatta di persone. Poi ci sono i giovani: partecipano e durante la pandemia hanno svolto un compito prezioso. Abbiamo creato un loro consiglio che funziona molto bene».

Ma c’è anche un nuovo obiettivo a cui la comunità guarda: «Dentro Caa abbiamo una grande cappella dedicata al Santo Niño, Gesù Bambino – racconta padre Caelli -. È una chiesa in grado di accogliere 300 persone. Si era pensato di farla diventare parrocchia, ma intorno non c’è spazio sufficiente. Per questo vogliamo renderla almeno un luogo dove ci sia una presenza fissa della Chiesa: non solo con padre Ravi, ma con una comunità. Per esempio: far in modo che chi ha bisogno di un certificato di battesimo (che qui di fatto fa anche da anagrafe…) possa chiederlo lì, senza dover affittare un triciclo per venire ai nostri uffici. Da cosa, poi, nasce cosa…».

A Manila però oggi il Pime non è più solo a Parañaque: un’altra presenza significativa è quella di Tanza Navotas a Kalookan, nella parte più settentrionale della metropoli, anch’essa esplosa con l’arrivo dei migranti interni. Per raggiungere pure loro il vescovo Pablo Virgilio David – che il 7 dicembre Papa Francesco creerà cardinale (vedi pagina 8) – ha dato vita a una ventina di Mission Station, vere e proprie “chiese in uscita” dove il prete e gli operatori pastorali vanno a vivere là dove si trova la gente.

I primi passi per il Pime a Tanza Navotas li ha mossi padre Stefano Mosca, oggi superiore regionale per la regione Sud Pacifico, insieme al birmano padre Robert Ngairi, 53 anni. «Quando il superiore mi ha chiesto di rientrare a Manila dopo un altro servizio in Myanmar, sono venuto senza fare troppe domande – ricorda il missionario -. E mi sono ritrovato in questa chiesa grandissima: talmente grande da avere come tetto il cielo e nessun muro intorno…».

Sorride padre Robert, raccontando la sua missione senza una chiesa, delle cappelle, nemmeno delle aule; la Messa stessa viene celebrata in strada, tra la gente. «Se piove ci si bagna, se c’è il sole fa caldo; e ci spostiamo sempre da una parte all’altra perché nessuno rimanga escluso – spiega -. Qui in periferia pensavo di trovare tanti squatter, le baraccopoli; invece a Tanza Navotas le case le hanno costruite, abitano in piccoli appartamenti. Ma la vita è dura lo stesso: gli affitti crescono e il lavoro non c’è». Anche per questo uno dei volti della Mission Station è il Feeding Program: tre giorni a settimana il missionario e un gruppo di volontari caricano su un carretto tre grossi pentoloni e distribuiscono in strada una merenda a base di cioccolata, riso e latte a circa 200 bambini.

«Da tanti anni aspettavano un prete che passasse in mezzo a loro – racconta ancora padre Ngairi -. Quando vedo la loro fede, mi si stringe il cuore. Missione per me è ascoltarli, aiutarli nel loro cammino. Intanto preghiamo la Madonna perché ci dia almeno una cappella: un giorno arriverà…».

Ma a crescere sono anche ulteriori frontiere, persino fuori da Metro Manila. È il caso della diocesi di Imus a Cavite, dall’altra parte della baia, dove il Pime fino a qualche anno fa era presente con il suo seminario a Tagaytay. Oggi è un’area in piena trasformazione per via dell’istituzione di una Zona economica speciale. E qui da un paio d’anni svolge il suo ministero padre Sundeep Kumar Pulidindi, missionario del Pime di 42 anni di origini indiane: ha lasciato Parañaque per prendersi cura di una comunità alla periferia di Cavite. «Siamo vicini alla città, ma in un certo senso anche lontani – racconta -. Gran parte del territorio è ancora rurale; ma la Zona economica speciale non richiede mansioni particolarmente qualificate: per questo continua a richiamare tante persone da Mindanao, da Leyte, dalle Visayas. Una comunità multiculturale, il che rappresenta una grande sfida».

«Ci sono molti giovani qui – continua padre Sundeep – ma incontro anche anziani, persone malate nelle case, bambini lasciati indietro dalla scuola, casi di malnutrizione. I bisogni sono tanti. Anche dal punto di vista ecclesiale il contesto è impegnativo: si tratta di riunire persone che vengono da esperienze diverse, preparare leader e catechisti. Ma è un cantiere che stiamo costruendo. Piano piano quest’area diventerà la nostra parrocchia che ha già un nome: sarà dedicata a sant’Ambrogio. Sì, proprio il santo di Milano, che qui la gente nemmeno conosceva». Avrà una chiesa a lui dedicata anche nella periferia di Cavite; per far camminare un altro popolo nella nuova “terra di mezzo” delle Filippine.

(Hanno collaborato Veronica Rimoldi e Michael Dalogdod)

 

LA CAMPAGNA PIME

Le Filippine sono il Pae­se a cui è dedicata la Campagna annuale di raccolta fondi “Filippine25. Un ponte per ogni isola” che il Centro Pime promuove per questo Natale e nel nuovo anno. L’obiettivo è sostenere i missionari del Pime in diverse attività a supporto di chi rischia di rimanere ai margini nel grande arcipelago del Sud-est asiatico. Per maggiori informazioni e le modalità per partecipare alla Campagna vedi l’articolo a pagina 42.