Dal 1949 sono attivi in tre diversi continenti. E ora si apprestano ad aprire in Tunisia la loro prima missione in un Paese a maggioranza islamica , collaborando con il Pime
D all’America Latina donano vocazioni alla missione ad gentes. E molto presto in Tunisia cominceranno a percorrere un tratto di strada insieme al Pime. È la storia dei Missionari di Guadalupe, l’Istituto della Chiesa cattolica messicana che nei mesi scorsi ha definito con il Pime e l’arcidiocesi di Tunisi un accordo per una nuova presenza da realizzare insieme.
Nati nel 1949 con l’apertura di un seminario a Città del Messico, dal 1953 i Missionari di Guadalupe sono un Istituto di diritto pontificio, proprio come il Pime in Italia. I primi passi in missione li mossero nel 1956 in Giappone; e da allora di strada nei diversi continenti nel nome della Vergine, che è il segno più importante della fede messicana, ne hanno compiuta tanta. «Attualmente siamo quasi 200, compresi i giovani in formazione», racconta il superiore generale, padre Eugenio Zacarias Romo Romo. Sacerdote dal 1987, i suoi primi anni in missione li ha vissuti in Corea del Sud, un ambiente molto diverso rispetto a quello dell’America Latina. «Là ho imparato a cercare Dio a partire dalla debolezza», racconta.
In Asia, oltre che in Giappone e in Corea, oggi i Missionari di Guadalupe sono presenti a Hong Kong. «Ma siamo anche in Africa: Kenya, Angola, Mozambico – continua padre Eugenio -. Siamo nelle frontiere missionarie dell’America: le aree amazzoniche del Perù e del Brasile, per esempio, che raccogliendo l’invito del Sinodo del 2019 abbiamo riunito in un’unica regione Amazzonia, al di là dei confini politici. E poi il Guatemala, Cuba, dove siamo arrivati subito dopo la visita di Giovanni Paolo II nel 1998. E anche gli Stati Uniti: ci chiamò nel 1977 l’arcivescovo di Los Angeles per prenderci cura di una comunità di latinos. Ma l’abbiamo trasformata negli ultimi anni in una missione vera e propria: adesso abbiamo tre parrocchie».
Che cosa significa partire come missionari per il mondo da un contesto come quello del Messico? «Fin dalla fondazione – risponde padre José Guadalupe Martinez Rea, uno dei consiglieri dell’Istituto – i nostri vescovi avevano ben chiaro che la Chiesa messicana doveva essere pronta a condividere la propria fede. E anche oggi il contesto da cui veniamo è quello di un Paese dalla religiosità ancora viva, nonostante non sia confrontabile con la situazione di cinquant’anni fa. Anche in Messico le vocazioni al sacerdozio sono diminuite, la presenza delle sette protestanti si fa sentire, ci sono nuove dinamiche della società che toccano la sfera della fede».
Per questo nel loro ultimo capitolo generale, dopo oltre settant’anni di ministero solo fuori dal proprio Paese, i Missionari di Guadalupe hanno scelto di essere presenti nella pastorale anche in Messico. «Oggi abbiamo due parrocchie – continua padre Martinez Rea – una a Monterey al Nord, in un ambiente urbano, e un’altra nell’arcidiocesi di Merida, tra gli indios dello Stato dello Yucatan, al Sud. Lo abbiamo fatto per condividere di più con la nostra Chiesa locale quello che abbiamo vissuto in missione. Mantenendo ferma la spiritualità missionaria che è il nostro carisma particolare».
Un’altra scelta significativa è stata quella di aprire una comunità formativa per i propri seminaristi a Pebas, sul Rio delle Amazzoni, nel vicariato apostolico di San José del Amazonas in Perù. «All’interno del loro percorso formativo, prima di compiere le promesse iniziali – spiegano i Missionari di Guadalupe – i seminaristi trascorrono un anno di esperienza pastorale e cura della spiritualità in Amazzonia. Attualmente a vivere questo percorso sono in sette, insieme a due formatori. Poi, una volta presa la loro decisione per la missione, torneranno a completare gli studi in seminario»
Intanto tre missionari dell’Istituto – padre Daniel, padre Hector Hugo e padre Luiz Alonso – hanno iniziato la preparazione per la Tunisia, dove dovrebbero arrivare in settembre. «Per noi sarà la prima esperienza di missione in un Paese a maggioranza musulmana – racconta il superiore padre Romo Romo -. Anche per questo siamo felici di poter aver accanto il Pime». Il progetto è quello di una nuova missione che vedrà collaborare i due Istituti, ampliando la presenza avviata già da qualche anno in Tunisia dal Pime.
«Conosciamo l’ambiente buddhista, le religioni tradizionali africane – spiegano i Missionari di Guadalupe -. Ma oggi il contesto islamico è il luogo dove più di ogni altro si sperimenta che il dialogo è il volto della missione. Raccogliendo l’invito dell’enciclica Fratelli tutti: condividere la nostra esperienza di fede con ogni fratello e sorella».