Chiedere scusa, ma soprattutto chiedere e offrire il perdono, è una via straordinaria per la pace e la riconciliazione. Seconda puntata dalla rubrica di padre Anand dalla Costa d’Avorio: «Akwaba! Benvenuti in Africa»
I suoni sono diversi, ma il significato è lo stesso: n’yaki (baoulé), sabari (dioula), diadi (n’ghe), pardon (francese), ovvero, perdono o scusa, in italiano. Sono espressioni usate molto comunemente nella mia zona, quasi in ogni momento della giornata. Anch’io ormai le uso spesso.
In Costa d’Avorio, servono per scusarsi o per chiedere un favore. A volte l’una e l’altra cosa insieme.
I contadini, e non solo i parrocchiani, vengono umilmente a scusarsi, quando sono in errore. Si scusano nonostante la loro età. Non hanno problemi di orgoglio. Riconoscono i loro limiti e accettano di essere aiutati.
Scusarsi è una cosa “magica”, che mi capita spesso qui in missione. So che sono irritabile, anche se adesso sono un po’ migliorato: quando le cose non vanno bene o come vorrei, la mia reazione è di arrabbiarmi e di urlare. Una volta che mi calmo, però, ora mi scuso, senza vergognarmi. Ormai lo faccio abbastanza facilmente. La missione mi ha insegnato questo valore: il chiedere scusa.
Questo stabilisce un rapporto diverso con la gente e la collaborazione diventa più facile ed efficace. Ed ecco la “magia”: la riconciliazione. La pace è già ristabilita. Nel villaggio, la gente non ama le discussioni e le liti, ama il dialogo. Si serve del perdono per ristabilire unione e pace.
In questo percorso, c’è quasi sempre un intermediario, una terza persona o una delegazione che si presenta a chiedere perdono per conto di un altro. Questa è una novità per me. Il fratello che si fa carico del fratello per chiedere scusa. La pace è un affare di tutti, della comunità. È molto raro che la richiesta di perdono venga rifiutata, perché tutti cercano la riconciliazione. Perché il perdono è un dono, che deve essere dato e ricevuto, gratuitamente e liberamente.
Pardon, tuttavia, significa anche “per favore”. A volte non è facile chiedere qualcosa o chiedere aiuto. Ma quando qualcuno lo fa, scusandosi, chi può rifiutarglielo? Ormai ho preso anch’io questa abitudine ad esempio quando devo negoziare un prezzo al mercato. Pardon! E funziona!
Soprattutto però il perdono è un dono, un dono che Dio ci concede gratuitamente e nello stesso tempo ci chiede di utilizzarlo nei confronti degli altri. I miei cristiani sono molto fedeli a questo comandamento del perdono: perdonare è divino, chiedere perdono è umano. I miei contadini sono umani e nello stesso tempo “divini”, perché sanno chiedere perdono e sanno offrirlo.
Nonostante questo, tuttavia, in questo caro Paese, qualche volta si vivono situazioni di conflitto e di divisione. Da qualche anno, nel governo, abbiamo un ministero che si occupa della riconciliazione. E ne abbiamo davvero bisogno! Il perdono è un bene. Il perdono assicura la pace. Il perdono è la soluzione a tanti problemi umani ed esistenziali. Dobbiamo dunque continuare a fare del perdono la nostra più bella abitudine quotidiana.